PHOTO
Csm
ll Partito democratico è tradizionalmente additato dagli avversari come organico a una parte della magistratura (e viceversa). Il Movimento 5 Stelle passava come vessillifero delle toghe dure e pure Leu ha come prima linea del settore giustizia nientemeno che l’ex procuratore nazionale Antimafia Pietro Grasso. A parte Italia viva e Matteo Renzi, che ha spesso avuto un rapporto complicato con l’ordine giudiziario, l’attuale coalizione di maggioranza sarebbe insospettabile. La meno sospettabile, quanto meno, di poter assestare un colpo ai magistrati, e alle loro correnti. In realtà la riforma del Csm finalmente venuta alla luce oggi in Consiglio dei ministri non è avara di novità. Innalza il numero dei consiglieri da 26 a 30 (20 togati più 10laici) per separare più agevolmente chi entra nella sezione disciplinare dai consiglieri destinati alle commissioni per gli incarichi e le incompatibilità (chi giudica non nomina). Modifica il sistema di voto in modo abbastanza plateale: dal collegio unico nazionale che spianava la strada ai big dell’Anm, si arriva a circoscrizioni elettorali che più piccole non si potrebbe, perché saranno uninominali, dunque tante quanti sono i togati da eleggere (19, visto che un componente magistrato, il presidente dellaCassazione, continuerà a esserlo di diritto) e perciò più favorevoli a candidature espresse dal territorio. Visto che non bastava a placare l’ansia da “spazza correnti” (la legge delega è già così ribattezzata, nella sgradevole assonanza con la “spazza corrotti”), si è innanzitutto previsto il sorteggio degli eventuali candidati mancanti, qualora non ce ne fossero dieci spontanei. Poi, una volta eletti con uninominale a doppio turno (possibilità di esprimere fino a quattro preferenze, con alternanza di genere obbligata, passa subito solo chi vince col 65 per cento, se no vanno in finale i primi quattro), i magistrati non potranno formare gruppi consiliari, né di corrente né di altra natura. Nomine di procuratori capo e presidenti di Tribunale in rigoroso ordine cronologico (addio“pacchetti”, soprattutto per la Cassazione), maggior peso all’anzianità, criteri stabiliti solo da norme aventi forza di legge e non più da regolamenti domestici di Palazzo dei Marescialli, divieto di ritorno in magistratura per le toghe reduci da mandati parlamentari o di governo. Insomma, la lista è tale da aver richiesto 41 articoli stracarichi di commi. Però, non c’è la comunque utopistica rivoluzione. E anzi, non arrivano, per il solito braccino sul match point, volée facili facili come il diritto di voto al presidente dell’Ordine degli avvocati sulle valutazioni di professionalità dei magistrati espresse dai Consigli giudiziari. E sulla separazione delle funzioni requirente e giudicante (di separare la carriere non se n’è manco voluto parlare) non ci si è spinti oltre un lieve ritocco verso l’altro degli intervalli minimi necessari per il cambio e una riduzione da 3 a 2 delle giravolte consentite nell’arco della carriera. Ma persino sul ruolo dell’avvocatura s’intravedono sprazzi di un visione comunque innovativa, innanzitutto nell’ammissione del Foro, e dell’accademia, nell’ufficio Studi e documentazione, dove si preparano le”schede” degli aspiranti procuratori capo. Non una cosetta marginale, insomma. Ecco, il menù potrà non essere dai sapori accesissimi ma sarebbe sbagliato definirlo insipido. Però il destino del ddl delega, voluto con tenacia dal guardasigilli Alfonso Bonafede, non pare in discesa. Ci saranno accuse. Da parte dell’opposizione politica, già lanciata nel denunciare l’asserito gattopardismo sulle correnti. Ma anche l’opposizione “togata” non farà sconti: ieri la corrente ora maggioritaria in Anm, Area, ha di nuovo avanzatole riserve sul sistema elettorale già illustrate a questo giornale dal segretarioEugenio Albamonte. Altri, come il leader del nascente polo moderato, Pasquale Grasso, vedono invece nell’uninominale a doppio turno un assist alla coalizion eavversaria, potenzialmente formata da Area e Unicost. E Magistratura indipendente, caposaldo dello schieramento di Grasso, è così allarmata da un simile sospetto da preferire il sorteggio di tutti i candidabili. Durante l’esame in Parlamento le critiche ci saranno, e ci saranno proprio perché Pd, M5S e Leu sono fatalmente esposti all’illazione del collateralismo. È la loro croce. Se solo saranno equilibrati, come hanno cercato finora con esiti ondivaghi, passeranno per collaborazionisti delle toghe. Se tentassero impennate, colpi d’ala, sarebbero destinati a dividersi. Il ddl è appunto una legge quadro.Le norme su sistema di voto e composizione del Consiglio saranno introdotte da decreti legislativi a 60 giorni dall’entrata in vigore della delega. Il ministro ci crede. E gli si deve riconoscere la fermezza nell’intervenire su dettagli regolatori solo in apparenza secondari. Oltre che sull’apertura dei ruoli tecnici agli avvocati, fortemente voluta anche dal sottosegretario Andrea Giorgis, anche sui fuori ruolo, che non potranno candidarsi a incarichi dirigenziali per due anni. E soprattutto sul ripristino del periodo naftalina imposto ai togati uscenti prima di poter a loro volta assumere ruoli direttivi (o anche fuori ruolo). Ben quattro annidi “frugalità”: una vera botta, considerato che l’originario limite della legge istitutiva del Csm (dpR916 del 1958) prevedeva uno stop di 2 anni, ridotti a uno nel 2014 e azero (sic!) da una misteriosa manina con la Manovra 2018. Secondo le toghe estranee all’associazionismo, l’assenza di decantazione favoriva, a fine consiliatura, campagne elettorali mirate da parte dei togati uscenti, ansiosi di scegliersi “delfini” che, una volta in plenum, favorissero la carriera del mentore. Non esistono statistiche, ma una ragione per cui quei due anni sabbatici erano spariti ci sarà. Perciò, dire che il ddl “Bonafede e altri” è una delicata carezza è roba buona solo per la propaganda.