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nuovi orizzonti giustizia azione disciplinare magistrati
Si stenta a crederci. Eppure è una frase testuale, riportata da un giornale certamente molto letto come il Fatto quotidiano, in un articolo a firma di una giornalista sempre molto informata: a proposito dello stop alle porte girevoli previsto nella riforma dell Csm, un «alto magistrato» spiega, «dietro promessa di anonimato», che le norme sui capi di gabinetto nascondono una «volontà chiara», quella di «penalizzare le toghe al rientro da questi incarichi. E poi dove dovrebbero finire queste persone e a far cosa per tre anni? Rischiamo», sostiene l’anonimo pm, o giudice, interpellato dal Fatto, «nel migliore dei casi di creare una riserva indiana. Ma la verità è che si punta a una sostituzione etnica: fuori i magistrati dentro gli avvocati». Sostituzione etnica. Addirittura. Ma innanzitutto: come si può usare un termine del genere? Come si fa a evocare uno scenario da genocidio? Siamo improvvisamente precipitati da un mondo che alcuni descrivono come una «repubblica delle Procure» a una specie di ex Jugoslavia, con gli avvocati a fare la faccia feroce tipo tigre Arkan? Certo, c’è da ironizzare. Ma un po’ anche da riflettere. Secondo la certamente autorevole fonte interpellata dal Fatto, le misure sulle porte girevoli tenderebbero a dissuadere giudici, pm, toghe amministrative e via così dal distaccarsi presso i ministeri come capi di gabinetto o direttori di dipartimento. Si tratterebbe di questo. Al loro posto, schiere di avvocati. Un’iperbole. Incredibile. Persino offensiva, se si pensa all’attuale realtà dei fatti. Vogliamo fare un esempio? Andiamo sul classico, ministero della Giustizia: i magistrati addetti all’ufficio Legislativo sono abbastanza da poter organizzare tornei di calcetto interni. Senza considerare che il capo dell’ufficio è una magistrata. Il fatto che Marta Cartabia abbia voluto nominare, come vice di quest’ultima, un professore di Diritto penale che è anche un avvocato penalista, Filippo Danovi, è stato salutato l’anno scorso come un evento clamoroso. Ora, da una scena simile, dal quadro attuale, le fonti del Fatto temono si arrivi alla sostituzione etnica o, per dirla con termini meno pulp, al ribaltone. A noi sembra il moto di rabbia che proviene dal profondo di una categoria, la magistratura, improvvisamente preoccupata di non poter più avere il monopolio della macchina pubblica. Di non essere più in maggioranza bulgara nel cuore dello Stato, dove spesso la politica è costretta all’opposizione, giacché il potere vero lo detengono loro, i giudici. I giudici che fanno da capo di gabinetto e i tanti che, soprattutto alla Giustizia, presidiano ogni più piccolo ganglo dell’amministrazione. È la nostalgia preventiva per il paradiso perduto. Forse basterebbe scendere solo un attimo coi piedi sulla terra.