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«Travisamento dei fatti», «mancata assunzione di prova decisiva», «grave illazione fondata sul nulla», «mera illazione», «evidente abbaglio», sono una delle tante considerazioni che il procuratore Generale di Palermo riserva alle motivazioni delle sentenze di primo e secondo grado che hanno assolto, con tanto di pronuncia definitiva della Cassazione, l’ex ministro democristiano Calogero Mannino. Parliamo della memoria depositata alla Corte d’appello di Palermo dove è in corso il secondo grado del processo trattativa Stato-mafia. Più specificatamente la procura generale è entrata nel merito della decostruzione della tesi trattativa e della gestione del procedimento del famoso dossier mafia-appalti, di cui uno dei pubblici ministeri titolari era proprio l’attuale procuratore generale di Palermo, che rappresenta oggi l’accusa nel processo trattativa. Sono tre le giudici che – avrebbero omesso, travisato, fatto contradditorie motivazioni In particolare, sono tre le giudici che – a detta del Pg – avrebbero omesso, travisato, fatto contradditorie motivazioni: la gup Marina Petruzzella, il collegio presieduto da Adriana Piras e la compianta Gip di Caltanissetta Gilda Loforti. Quest’ultima merita un ricordo. Era nata a Cefalù il 31 agosto del 1959 ed è scomparsa a soli 49 anni, per una grave malattia che l’aveva colpita nel 2000 e che pareva avere superato con grande energia, sino a un ultimo devastante episodio che il primo aprile del 2008 l’ha portato via. Nella sua breve ma intensa carriera, è stata prima giudice al Tribunale di Nicosia e, poi, al Tribunale e alla Corte di Appello di Caltanissetta. Oggi c’è un’aula del tribunale nisseno a lei dedicata. Gilda Loforti aveva smentito la teoria della doppia informativa per mafia-appalti Nella memoria della Procura generale viene citata anche la Loforti, poiché la giudice di primo grado Petruzzella ha reso noto la sua ordinanza di archiviazione del 15 marzo 2000. In particolare il riferimento è al capitolo relativo alla teoria della doppia informativa, ovvero l’accusa da parte dei titolari del procedimento mafia-appalti di allora (e rievocata nuovamente dall’accusa del processo Mannino) che consisteva nel dire che i Ros avrebbero depositato un dossier depurato appositamente dei nomi dei politici importanti. La compianta Loforti, invece, attraverso un’analisi capillare dei fatti (con tanto di indagini svolte) aveva smentito tale teoria. La giudice Petruzzella l’ha fatto presente nelle motivazioni, respingendo le accuse del pm che, a detta della procura generale di Palermo – così come scrive nella memoria appena depositata – avrebbe fatto «ineccepibili e gravissime considerazioni». Per il Pg l’accusa è ineccepibile, per la giudice Petruzzella evidentemente no. Motivazioni che saranno confermate e ampliate dal collegio guidato dalla giudice Piras. Ma anche in quel caso, come si evince dalla memoria depositata dal Pg, evidentemente non ci hanno capito nulla. La memoria del Pg è tutta concentrata sulla trattativa Ma la memoria è tutta concentrata sulla trattativa. Una giudice e un intero collegio, secondo il Pg, non avrebbero assunto prove, a detta loro, decisive. Così come, sempre secondo la procura generale, ci sarebbe stata in più punti una «manifesta illogicità della motivazione assolutoria del Mannino». Tra gli altri rilievi compare anche «l’omessa e contraddittoria motivazione in merito alle dichiarazioni rese da Ferraro Liliana». In sostanza, la Corte d’Appello presieduta dalla Piras avrebbe dunque sbagliato concentrandosi sulle dichiarazioni dibattimentali della Ferraro del 28 settembre 2010, nel procedimento instaurato nei confronti dei carabinieri Mori e Obinu, imputati (e assolti definitivamente) della cosiddetta mancata cattura di Provenzano. Secondo il Pg la Corte che ha assolto Mannino avrebbe dovuto bacchettare la Ferraro Come mai questa obiezione? Secondo la memoria del Pg, concentrandosi solo su questo, la Corte presieduta dalla Piras «ha omesso di valutare significative divergenze, palesi omissioni ed evidenti contraddizioni in precedenti e successive audizioni della stessa nella fase delle indagini». Ed ecco che, secondo la procura generale di Palermo, la Corte che ha assolto Mannino avrebbe dovuto bacchettare la Ferraro. Sì, proprio colei che lavorò al fianco di Giovanni Falcone fino alla fine dei suoi giorni. Dedicò vent’anni della sua esistenza professionale alla collaborazione con gli uffici giudiziari, prima per la lotta contro il terrorismo, poi contro la mafia. Fu lei che contribuì alla ristrutturazione del carcere dell’Asinara per far rinchiudere le Brigate rosse, così come dopo, assieme all’ex ministro della Giustizia Claudio Martelli, fu sempre lei a far riaprire le carceri speciali per rinchiudere i mafiosi dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio. Il ricorso rigettato dalla Cassazione Una vita dedicata alla lotta alla criminalità organizzata. Parliamo della stessa Ferraro che nella sentenza di primo grado sulla presunta trattativa Stato-mafia viene fortemente bacchettata, sottolineando che ha avuto “eclatanti dimenticanze”. In questo caso nessuno ha avuto nulla da dire. Ma se delle giudici serie, come quelle del processo Mannino, che non si lasciano fuorviare dalle suggestioni e pressioni massmediatiche, decidono di restituire la giusta dignità a una donna che ha svolto con amore il proprio dovere – per questo rispettata da Falcone e Borsellino - , allora no, non va bene: arriva un pezzo, in realtà molto piccolo ma più rumoroso, della magistratura che si sente superiore ai giudici stessi e addirittura, come in questo caso, alla Cassazione che ha rigettato il loro ricorso. Lo Stato di diritto e il giudice terzo Una superiorità manifestata tramite una memoria che, di fatto, colpisce il lavoro del giudice che deve essere terzo e che si pone in una posizione di assoluta indifferenza e di effettiva equidistanza dalle parti contendenti. Questo recita la Costituzione e questo è il pilastro dello Stato di diritto. D’altronde, la memoria dei Pg, ironia della sorte, arriva proprio nel momento in cui è sotto tiro un’altra Gip. Parliamo di Donatella Banci Buonamici, “rea” di aver scarcerato sabato i tre fermati per l'incidente della funivia del Mottarone, mettendo ai domiciliari Gabriel Tadini. L’Associazione nazionale dei magistrati, invece di difendere lei, ha attaccato le Camere penali. Secondo la memoria depositata la sentenza di primo grado sulla trattativa è l'unica via maestra Ma ritorniamo alla memoria depositata dalla procura generale. Oramai siamo nella fase in cui si prende come unica via maestra la sentenza di primo grado sulla trattativa: tutte le altre sentenze, anche definitive, valgono come la carta straccia. Sbagliano i tre gradi giudizio sul processo a Mannino che smentiscono la trattativa, sbagliano le sentenze del Borsellino Quater che escludono categoricamente la presunta trattativa collegata con l’accelerazione della strage di Via D’Amelio, sbagliano le due decisioni del processo Capaci Uno e Capaci bis che individuano il movente mafia- appalti come causa della strage, escludendo teorie fantasiose come quelle del “doppio cantiere” nella fase di esecuzione della strage dove perse la vita Giovanni Falcone. Sembrerebbe proprio che gli unici a non sbagliare siano quelli che – inquirenti e giudicanti – da Palermo sostengono la tesi della trattativa. Parafrasando Orwell "ci sono sentenze più uguali di altre" Siamo arrivati quindi ad Orwell. In particolare parliamo del suo famoso libro “La fattoria degli animali”. Un romanzo, tra l’altro, che aveva il compito di smascherare talune ipocrisie. Sì, perché, così ha affermato Orwell, «se la libertà significa qualcosa, significa il diritto di dire alla gente ciò che non vuol sentirsi dire». Ebbene, il libro parla di un regime che diventa ben presto dittatoriale. Al motto «tutti gli animali sono uguali» viene aggiunto «Ma alcuni sono più uguali degli altri».