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Torna al vaglio della Corte Costituzionale la legge Spazzacorrotti, per la quale i giudici della Consulta la scorsa settimana hanno sancito l’illegittimità dell’applicazione retroattiva del divieto di misure alternative per chi è condannato per alcuni reati di corruzione. Questa volta, dopo l’udienza pubblica fissata per mercoledì 26 febbraio, la Corte stabilirà se violino o meno i principi costituzionali gli articoli con cui la Spazzacorrotti ha inserito tra i reati «ostativi» - quelli per cui non è possibile ottenere benefici penitenziari - il peculato e l’induzione indebita. A sollevare le questioni davanti alla Consulta sono state la Corte di Cassazione e la Corte d’appello di Caltanissetta - sul reato di peculato - e la Corte d’appello di Palermo sul reato di induzione indebita. In particolare, evidenzia la Cassazione nella sua ordinanza di rimessione, il reato di peculato, con la Spazzacorrotti, entra a far parte «della famiglia» delle fattispecie «ostative», nel senso che l’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione (esclusa la liberazione anticipata) potranno essere concessi ai condannati per tale reato solo nelle ipotesi di collaborazione effettiva con la giustizia o nei casi di collaborazione impossibile o inesigibile e sempre in presenza di avvenuta acquisizione di elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva. La condotta di peculato, osserva la Cassazione, per come configurata dal legislatore, non parrebbe invece contenere, fermo restando il suo comune disvalore, la connotazione di «elevata pericolosità generalizzata, essendo difficilmente inquadrabile in contesti di criminalità organizzata», e quindi sarebbe «in contrasto con il principio di ragionevolezza» la sottrazione alla «discrezionalità» del tribunale di sorveglianza dell’«apprezzamento concreto del fatto e della personalità dell’autore, con ricaduta sui principi di individualizzazione della pena e del finalismo rieducativo della stessa». Medesime argomentazioni sono contenute nell’ordinanza dei giudici di Caltanissetta sul peculato, mentre per quanto riguarda l’induzione indebita, la Corte d’appello di Palermo osserva che non sussisterebbero «adeguati indicatori che possano giustificare tale eccezione alla possibilità di accesso del condannato, da libero, alle misure alternative alla detenzione e ciò in contrasto con i principi di ragionevolezza e della finalità rieducativa della pena».