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Alcune certezze. Innanzitutto, sulla copertura dell’equo compenso per i professionisti c’è una volta tanto l’unanimità delle forze politiche. La commissione Giustizia di Montecitorio approva un emendamento, a prima firma Carolina Varchi ( Fdi), che assicura le risorse necessarie alla legge.
In particolare per il solo maggior costo che sia stato finora precisato dal ministero dell’Economia: 150 milioni di euro in più che, secondo la relazione tecnica arrivata venti giorni fa da via XX settembre, l’Agenzia delle entrate- Riscossione dovrebbe sobbarcarsi per gli incarichi legali esterni. Ancora, in una seduta, quella di ieri, che dà un decisivo colpo d’acceleratore al provvedimento, i deputati della commissione votano anche il mandato alla relatrice, Ingrid Bisa della Lega. Si va in aula, dunque. E la data è ravvicinatissima: martedì 12 ottobre. Quel giorno si capirà se Parlamento e governo intendono assicurare retribuzioni decorose agli avvocati e ad altri professionisti che ricevono incarichi dai “committenti forti”, incluse le Pubbliche amministrazioni.
C’è da essere moderatamente ottimisti, anche perché ieri, in commissione, con la tenace capogruppo di FdI Varchi, è intervenuto il sottosegretario che segue l’iter per l’esecutivo, Francesco Paolo Sisto. Avvocato a propria volta, da sempre schierato per affermare il diritto di difesa insieme con le Camere penali, il rappresentante del governo ha sminato il successivo percorso della legge con la richiesta, subito accolta, di eliminare l’efficacia retroattiva delle nuove misure. Che riguarderanno appunto solo gli incarichi professionali successivi all’entrata in vigore del provvedimento. «Varchi ha definito la mia sintesi lodo Sisto», dice il sottosegretario al Dubbio, «mi sta bene. Interessava, al ministero della Giustizia, completare un lavoro che ridà fiducia e forza al rapporto fra governo, via Arenula e professioni, avvocatura innanzitutto. La professione forense torna protagonista anche in virtù delle nuove norme sull’equo compenso com’era già avvenuto con il decreto sull’esame di abilitazione, il deposito in via analogica in caso di malfunzionamento del portale Giustizia e il rafforzamento del diritto di difesa assicurato dalle riforme del processo».
Considerato l’impegno di via Arenula, perché resta allora un velo d’incertezza? Perché, come spiega Varchi, «manca la relazione del Mef sul nostro testo definitivo e il conseguente parere della commissione Bilancio. Non faccio pronostici. È noto», aggiunge la deputata di FdI, «come dalla Bilancio arrivi un parere condizionato a eventuali modifiche, che si traducono automaticamente in emendamenti». Non si può dunque escludere che quella relazione imponga di accantonare la parte della legge con cui si vincola l’intera Pubblica amministrazione, e le società partecipate da enti pubblici, a retribuire i professionisti nel rigoroso rispetto dei parametri ministeriali. «Ma io sono fiduciosa», dice Varchi al Dubbio, «anche in virtù di una semplice considerazione: non credo che la nostra legge possa causare oneri così rilevanti a carico del comparto pubblico, ma se davvero, in virtù di norme che semplicemente impongono di pagare gli incarichi esterni in base ai parametri di legge, ci trovassimo improvvisamente a un considerevole aumento delle spese, allora vorrebbe dire che oggi come oggi lo Stato e gli enti locali risparmiano centinaia di milioni sulla pelle dei professionisti».
Della serie: in ogni caso, per una questione di dignità, il nuovo provvedimento sull’equo compenso va approvato, perché riporta in linea col minimo decoro retributivo i costi per il lavoro professionale; lo fa oltretutto solo a carico di “committenti forti” come banche, assicurazioni e imprese medio- grandi ( con più di 50 dipendenti o ricavi superiori a 10 milioni annui) e appunto la Pa, e non approvare queste misure equivarrebbe a legalizzare il caporalato professionale. Non fa una piega.
Si vedrà martedì prossimo. Difficile che il parere della commissione Bilancio arrivi prima. Ed è improbabile, visto il clima in commissione Giustizia, che sul destino del provvedimento debba pesare il nome della prima firmataria, Giorgia Meloni, leader dell’unica grande forza d’opposizione, FdI appunto. Intanto perché il testo è cofirmato da Forza Italia (Andrea Mandelli) e Lega (Jacopo Morrone). E poi per l’atteggiamento tenuto anche dal resto della maggioranza. Sempre ieri, oltre all’emendamento Varchi, è stato approvato all’unanimità anche una modifica proposta dai dem Chiara Gribaudo e Alfredo Bazoli, che porta a 5 i componenti dell’Osservatorio sull’equo compenso. La proposta che assicura la copertura da 150 milioni è sottoscritta, oltre che da Varchi, anche dall’azzurra Mirella Cristina e dal capogruppo leghista Roberto Turri. Fa riferimento al fondo per le esigenze indifferibili, introdotto per la prima volta con la Manovra 2015 e rinnovato poi con successive misure.
Considerare il risultato già in cassaforte sarebbe prematuro. Vero è che diverse altre parti della legge sull’equo compenso sono preziosissime, non ultima quella che trasferisce tutte le norme introdotte, grazie al Cnf, a fine 2017, nel nuovo articolato, e ovviamente abroga gli “addentellati” attualmente in vigore (sparsi fra la legge professionale forense e la legge di Bilancio per il 2018). Si esce da equivoci, come l’applicazione delle norme limitata alle sole “convenzioni”, un limite che aveva spesso consentito gli aggiramenti. Ma è chiaro che se non facesse giustizia degli abusi compiuti, sulle libere professioni, in ambito pubblico, la nuova legge resterebbe certamente monca.