«Sto male assai, sono stato picchiato con il ferro. Tanto dolore, non parlo bene». Sono le parole spezzate di A., uno dei reclusi nel Centro di permanenza per i rimpatri di Trapani Milo, dove si starebbero consumando episodi di violenza che mettono a rischio la vita delle persone detenute. A lanciare l’allarme è Mem. Med, progetto nato dalla collaborazione di associazioni come Borderline Sicilia Onlus, CarovaneMigranti, Clinica Legale per i Diritti Umani ( Cledu) di Palermo, Campagna LasciateCIEntrare, Rete Antirazzista Catanese e Watch the Med- AlarmPhone.

La denuncia, basata su testimonianze dirette, dipinge un quadro drammatico: il Cpr di Trapani è un luogo dove lo Stato abdica alla sua funzione di garante della sicurezza, lasciando i reclusi in balia di soprusi e minacce mortali.

Al Cpr di Trapani Milo, quindi, si starebbero consumando episodi di violenza che hanno raggiunto livelli allarmanti: le persone recluse, già vittime di condizioni disumane, testimoniano ora un continuo pericolo di vita e la paura costante di non sopravvivere alla notte. A seguito di una rissa, sembra che nessun intervento tuteli la sicurezza degli ospiti: l’unica reazione è stata una chiamata alla polizia antisommossa, la quale, a detta dei denuncianti, non ha fornito alcuna protezione concreta. Le informazioni provenienti dall’interno del centro denunciano una situazione estrema, dove la sicurezza e il diritto alla vita sono costantemente violati. I migranti reclusi vivono in uno stato di sovraffollamento e abbandono, dove l’assenza di interventi tempestivi e risolutivi ha reso il Cpr di Trapani Milo un luogo di pericolo imminente, destinato a ripetuti episodi di violenza.

«Le notizie che arrivano dall’interno denunciano che alcune persone non sono state messe in sicurezza nonostante le ferite», sottolinea l’associazione Mem. Med. Le testimonianze raccolte dalle associazioni parlano di un clima di terrore. «Ho paura, mi vogliono ammazzare. Preferisco andare in galera, almeno lì è sicuro. Qui è peggio», racconta B., che descrive l’inerzia delle autorità: «Chiami, chiami, chiami e disturbi loro per venire. Ridevano di noi. Siamo in pericolo qui, ho paura che mi ammazzino». Anche C., in lacrime, conferma: «Restare qui è un rischio, possono ammazzarci. Loro (i poliziotti, ndr) non vengono quando siamo in pericolo. Ma quando noi dobbiamo prendere qualcosa dal magazzino siamo accompagnati da 5, 6 poliziotti ciascuno. Finora nessuno è entrato, solo per sistemare la finestra. Non possiamo andare contro il governo, hanno troppo troppo potere, ma non possiamo nascondere la verità che stiamo soffrendo. Sennò moriamo. Se loro vogliono lasciarci reclusi portateci in carcere, almeno abbiamo una tutela. Ci stanno cercando, noi stiamo aspettando la morte».

L’associazione riporta anche la testimonianza di B: «Il mio compagno di cella mi ha detto di stare tranquillo, mi proteggerà, ma è lo stesso, qui nessuno può proteggere nessuno. Qui lo Stato non ci può proteggere, solo noi stessi». Una dichiarazione che esprime la totale disillusione nei confronti dello Stato e delle istituzioni, incapaci di offrire anche il minimo soccorso in situazioni di grave emergenza.

Il centro di Trapani, che ha una storia complessa e mutata nel tempo, nasce inizialmente come Centro di Identificazione ed Espulsione (Cie) in base al bando del 2014, affidato alla cooperativa Badia Grande per tre anni. Dal dicembre 2015, la struttura è stata convertita in centro Hotspot, continuando a operare in tale veste fino al 2018. Durante questo periodo la capacità ricettiva è raddoppiata, passando da 200 a 400 posti letto, pur mantenendo gli standard del capitolato originario.

Nel settembre 2018, il centro ha cambiato nuovamente destinazione d’uso, divenendo un Centro di permanenza per i rimpatri. Nonostante la capienza ufficiale sia fissata a 205 posti, le continue rivolte e i problemi gestionali hanno comportato diverse chiusure e una drastica riduzione della capacità effettiva: a fine 2022 il numero di posti era sceso a 51, per poi risalire a 156 a fine 2023. L’episodio più recente, avvenuto il 22 gennaio 2024, ha portato a una momentanea inagibilità della struttura, confermando la pericolosità dell’ambiente e la necessità di un intervento immediato.