Scagionato il guru di Salvini. Giusto il tempo di sputtanare la Lega prima del voto…
Dalle chat finite nelle indagini emerge con chiarezza che l’ex social media manager del Carroccio, Luca Morisi, non aveva ceduto alcuna “droga dello stupro” agli escort. Non c’è reato, certamente a suo carico, e forse neppure per i ragazzi rumeni. Peccato si scopra solo ad urne già scrutinate. Ma se fosse già stato in vigore il decreto sulla presunzione d’innocenza, questo scempio sarebbe stato possibile?...
Quindi abbiamo scherzato. Anzi, hanno. Hanno scherzato i giornali che, alla vigilia delle Amministrative, avevano sbattuto il mostro, anzi “la Bestia”, in prima pagina. Luca Morisi, ormai ex guru di Matteo Salvini, non ha commesso alcun reato. Emerge con chiarezza dalle chat doviziosamente pubblicate ieri dal Corriere e riprese poi oggi da gran parte degli altri quotidiani. Semplicemente, si scopre che l’escort presentatosi come vittima, e divenuto accusatore del social media manager, aveva mentito: nelle dichiarazioni rilasciate a carabinieri e pm di Verona aveva descritto Morisi come spacciatore, oltre che come cliente in cerca di sesso. E invece era stato lui, l’escort Alexander, a portare la “droga dello stupro”, ovvero l’acido gamma-idrossibutirrico (Ghb per semplificare). Dalle conversazioni ora disponibili su qualsiasi testata cartacea e on line, viene fuori che il 21enne di origini rumene aveva proposto a Morisi, il 14 agosto, di vivacizzare l’incontro con la famigerata sostanza. Non solo. Uno tra i giornali più corretti nel ricostruire la faccenda, la Stampa, ha osservato: «Non è un azzardo ritenere che le ipotesi di reato possano decadere ed essere derubricate a una questione amministrativa perché la dose di droga liquida rinvenuta nell’automobile di Petre R. (l’altro escort, ndr) è compatibile alla modica quantità per uso personale». Nulla, dunque, che possa portare a un processo e a una condanna penali. Certamente non per Morisi, che non ha offerto alcuna “droga dello stupro” a chicchessia.
Ecco la verità. Ora che la frittata è fatta
Solo che tanti accurati dettagli emergono, ma guardate un po’, a frittata fatta. Cioè a urne aperte, chiuse e scrutinate. A danno ormai irreparabile. È l’ultima mirabolante impresa della giustizia mediatica: una vita e una carriera distrutte, quelle di Morisi, e una certa ingiustificata rovina politica per uno dei maggiori partiti italiani, la Lega, e in particolare per il suo leader Salvini. Ora si scopre che non ce n’era motivo. Non c’era reato. Giusto in tempo, diciamo... Solo i giornali di destra, ad esempio La Verità, si scagliano contro i quotidiani maggiori, e il Corriere della Sera in particolare. “La chat che scagiona Morisi esce (di nascosto) subito dopo il voto”, titola Maurizio Belpietro. Sarebbe stato confortante leggere su altri giornali, e non solo su quelli politicamente più vicini alla Lega, il riconoscimento dei guasti che possono venire da un uso illegale (perché il reato c’è ma è solo quello compiuto dai media, consultare il codice penale all’articolo 684, please) della cronaca giudiziaria.
Tanti aspetti poco chiari nelle cronache su Morisi
Ma non è questo il punto. E forse non è neppure il caso di interrogarsi sui numerosi aspetti poco convincenti della storia. Ad esempio, sul reale motivo della telefonata con cui uno dei due escort, il 14 agosto, avrebbe avvertito i carabinieri di Verona: «Il cliente (Morisi, ndr) non vuole pagare quanto pattuito», raccontano le cronache giudiziarie. Non è che capiti così spesso che un escort chieda alle forze dell’ordine di fare da recupero crediti. Saremmo anche tentati di capire meglio da dov’è uscita davvero la notizia: non avevano interesse a darla né il mio ufficio né i carabinieri, ha detto la procuratrice di Verona Angela Barbaglio. E allora chi ha aiutato non uno ma tre o quattro giornali, domenica 26 settembre, ad acquisire informazioni tanto dettagliate - seppur poi rivelatesi false, guarda un po’ - sull’indagine per cessione di stupefacenti che i pm scaligeri avevano pur sempre aperto sull’ex guru di Salvini? Non i carabinieri, non i magistrati: chi, dunque? Magari Petre, scappato intanto in Romania. Sarà andata così.
Magari fosse già stato in vigore il decreto garantista
Però una cosa è certa. Se fossero già state in vigore le norme previste dal decreto sulla presunzione d’innocenza all’esame, in questi giorni, della commissione Giustizia di Montecitorio, la soffiata avrebbe trovato qualche ostacolo in più a trapelare. Perché bene o male tutti sapevano (dai giornalisti alla talpa) che il cerchio sulla fonte sarebbe stato piuttosto stretto. In base alle norme non ancora varate, ai pm sarebbe stato vietato dire alcunché. Al massimo il capo dell’ufficio avrebbe dovuto valutare, come recita l’articolo 3 del richiamato decreto, se poteva trattarsi di un caso di “particolare rilevanza pubblica” o se la “pubblicità” era “strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini” al punto da dover convocare, sulla notte di “sexefun” di Morisi, una conferenza stampa, o almeno diffondere un comunicato. Ma il procuratore di Verona, la dottoressa Babaglio, in un’intervista al Corriere, ha parlato, a proposito dell’indagine, di una storia banale. Quindi è il contrario. Decreto in vigore, i pm non avrebbero in ogni caso potuto dare notizie. Né avrebbero potuto farlo i carabinieri. Ancora: nel decreto di Cartabia sulla presunzione d’innocenza non è previsto l’inasprimento delle sanzioni per la “pubblicazione arbitraria di atti” (sempre l’articolo 684 del codice penale) e la rivelazione del segreto. Forse la vicenda Morisi incoraggia a farlo, come suggerisce un ddl già depositato da Italia viva, anziché assecondare le richieste avanzate dal Movimento 5 Stelle, che vorrebbe ridimensionare l’impatto del provvedimento.
Senza il reato (che non c’è) non si poteva sputtanare Salvini
Un’ultimissima cosa: se non ci fosse stata un’ipotesi di reato, che, come ricordato ora pare svanire sia per Morisi sia per gli escort, i giornali non avrebbero potuto dare notizia della notte di sesso vissuta dal braccio destro di Salvini. L’avessero fatto, avrebbero violato varie norme del codice della privacy, e con queste il Testo unico della deontologia dei giornalisti. Serviva un reato, che riporta quegli articoli sotto il comodo ombrello della cronaca giudiziaria. Sarebbe un altro motivo per chiedersi com’è possibile che, sui giornali, l’ipotesi di reato sia resistita giusto il tempo di sputtanare la Lega alle elezioni. Ma insomma, noi siamo fissati con le riforme garantiste e ci basterebbero quelle. Non vogliamo chiederci neppure questo.