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Nel programma condiviso Pd- M5s c’è dunque il sì alla riforma Bonafede. Non un via libera testuale e incondizionato, ma un ok di massima, evidente nella stesura del dodicesimo punto delle “Linee di indirizzo programmatico per la formazione del nuovo governo”, allegate ieri dai pentastellati alla pagina web del voto sul Conte bis: «Occorre ridurre drasticamente i tempi della giustizia civile, penale e tributaria, e riformare il metodo di elezione dei membri del Consiglio superiore della Magistratura». È chiaro che si tratta, come da nota nel frontespizio, di una “Bozza di lavoro che riassume le linee programmatiche che il Presidente del Consiglio incaricato sta integrando e definendo”. Va bene, va benissimo. Ma quelle parole, quelle al punto 12, sono inequivoche. Evocano per grandi linee il ddl preparato dal guardasigilli uscente, e in via di riconferma. Con l’inserto della giustizia tributaria, competenza da condividere con altri dicasteri.
La seconda implicita certezza è che resta fuori dagli accordi, per ora, il tema prescrizione. Non perché si abbia paura di affrontarlo. Anzi. Quattro giorni fa alcuni dei big dei due partiti hanno discusso, in un vertice con Giuseppe Conte e i neo- alleati, anche di giustizia e, in particolare, della norma sulla prescrizione dei reati. A quella riunione i rappresentanti del Pd, da Graziano Del Rio a Dario Stefano, hanno espresso tutte le preoccupazioni per l’eliminazione dell’istituto dopo la sentenza di primo grado. Ma si è concluso, insieme, che al momento è impossibile trovare una soluzione. Ecco perché il tema non è neppure fugacemente evocato nel programma.
Vuol dire che la mina è disinnescata? Tutt’altro. Alcune voci interne al partito di Nicola Zingaretti indicano nella giustizia «un inevitabile terreno di scontro». E la prescrizione rischia di diventare a breve la battaglia cruciale. Pochi giorni fa l’Unione Camere penali ha ribadito «il proprio impegno strenuo» finché «quell’abominio non verrà cancellato». E il pressing degli avvocari spingerà i dem a riaprire il dossier a breve, ben prima che, il prossimo 1° gennaio, lo stop alla prescrizione dopo il primo grado entri in vigore. Ma c’è da dire che, come fa notare un’altra fonte del Pd, un parlamentare di lungo corso, «noi non siamo la Lega, non poniamo ultimatum: non è questo il modo per risolvere i problemi». Vuol dire che, per esempio, non si penserebbe mai di pretendere, come condizione per non rompere sulla prescrizione dei reati, una approvazione lampo della riforma del processo penale, come chiesto invece dalla Lega.
Un’altra fonte dem, che pure preferisce non essere citata, assicura che su gran parte dei contenuti del ddl Bonafede, almeno sulla parte relativa al processo penale, la convergenza è possibile. Ecco: a differenza del Carroccio, il Pd condivide diverse misure inserite nella legge delega del guardasigilli. A cominciare dalle sanzioni per pm e giudici lenti. Punto sul quale non si arriverà al parossismo leghista, secondo cui sarebbero stati insufficienti i 9 anni, e persino i 6 anni della legge Pinto, previsti prima di far scattare conseguenze disciplinari per il magistrato tardivo. Lo stesso primo limite, inserito dal ministro della Giustizia nella bozza iniziale, potrebbe andar bene. Andranno bene anche gli interventi ipotizzati sui riti alternativi, a cominciare dal superamento dei vincoli per il ricorso all’abbreviato condizionato. Ma soprattutto, il Pd sarà favorevole a una modifica al Codice in apparenza marginale, e invece ritenuta preziosissima sia da istituzione e associazioni forensi che dall’Anm: l’estensione del patteggiamento, sia rispetto al limite di pena previsto per i reati a cui applicarlo ( 10 anni) sia riguardo allo sconto concesso all’indagato che patteggia ( fino al dimezzamento della pena). Salvini e Bongiorno avevano chiesto di sopprimere quell’intervento. Il Pd invece darà piena disponibilità a inserirlo nella riforma un simile, importante dettaglio.
Sono motivi che spiegano l’implicito via libera di massima alla riforma Bonafede, richiamato da quel “punto 12” del programma. Che, come visto, sdogana anche la parte del ddl relativa al Csm, la sola a non avere forma di legge delega. Lo stesso guardasigilli ha assicurato più volte di voler lasciare al Parlamento ampio margine di confronto sull’argomento. Tra M5S e Pd, ci sono distanze non incolmabili.
Nello schema di ddl preparato a suo tempo, per Orlando, dalla commissione Scotti, si scartava sia il ritorno a 30 consiglieri ( dagli attuali 26) sia l’ipotesi del sorteggio per eleggere i togati. Ma ci sono punti di contatto sulla “specializzazione” dei componenti da destinare alla sezione disciplinare e sul restringimento dei collegi per il voto dei magistrati. Nel Pd c’è chi, di fronte al “sorteggio temperato”, non è troppo contrario. Lo stesso Orlando - che resterà fuori dall’esecutivo, come ha annunciato ieri, ma manterrà un’influenza notevole sulla giustizia - potrebbe non trovarlo così indigesto. Il processo penale e l’ordinamento giudiziario sono e resteranno un tema bollente. Eppure le distanze cominciano a essere meno profonde di quanto si potesse pensare.