La battuta d’arresto, subito dopo l’avvio del processo a carico dei quattro agenti dei servizi di sicurezza egiziani accusati della morte di Giulio Regeni, fa clamore se il provvedimento della Corte d’Assise di Roma viene letto con superficialità e sull’onda emotiva. Ma nella sostanza tutela tanto l’interesse dello Stato quanto quello dei familiari del ricercatore universitario ucciso in Egitto.

L’ordinanza della Corte d’Assise ha annullato il rinvio a giudizio disposto dal Gup nello scorso mese di maggio e rinviato gli atti con l’intento di rendere effettiva la conoscenza del processo agli imputati (il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif) e far reggere da subito il processo su solide basi.

Tutto, dunque, dovrà ripartire dall’udienza preliminare. I giudici hanno rilevato che «il decreto che disponeva il giudizio era stato notificato agli imputati, comunque non presenti all'udienza preliminare, mediante consegna di copia dell’atto ai difensori di ufficio nominati, sul presupposto che si fossero sottratti volontariamente alla conoscenza di atti del procedimento». Di qui l’annullamento del rinvio a giudizio disposto dal Gup cinque mesi fa.

La Corte d’Assise ha affermato che le attività svolte (invito a fornire indicazioni sulle compiute generalità anagrafiche e conoscenza della attuale residenza o domicilio), mediante rogatoria all’autorità giudiziaria egiziana per acquisire la formale elezione di domicilio dei quattro imputati, non hanno sortito alcun effetto. In mancanza di indirizzo determinato non è stato possibile notificare alcun atto ufficiale del procedimento agli agenti dei servizi segreti, a partire dall’avviso di conclusione delle indagini.

Processo Regeni, parla il professor Spangher

In tutto questo ha giocato un ruolo l’inerzia, voluta, dell’Egitto, che ha sempre ignorato le richieste italiane fatte tramite il ministero della Giustizia e i canali diplomatici. Giorgio Spangher, emerito di diritto processuale penale dell’Università di Roma “La Sapienza” ritiene che la Corte d’Assise ha seguito la logica della costruzione di un processo solido, che potrà arrivare fino in fondo e garantire i diritti di tutte le parti. «Comprendo molto bene – dice il professor Spangher -, da friulano e giuliano, il dolore della famiglia Regeni e sono loro vicino. Il processo nei confronti degli assassini di Giulio Regeni deve però essere regolare. I giudici si sono mossi correttamente. Hanno fatto bene a prendere quella decisione, perché è inutile costruire un processo sulla sabbia. L’eccezione che loro hanno verosimilmente recepito e trasferito nella loro decisione fa sì che il processo regredisca. Ma nel momento in cui regredirà incomincerà a fare le cose giuste. Se invece questo processo fosse andato avanti, ci saremmo potuti trovare con delle sorprese. Se c’è una invalidità processuale è meglio accertarla subito, restituire gli atti dove si è verificata, sanarla e andare avanti, piuttosto che trascinare inutilmente un processo che rischia di avere dentro il tarlo dell’invalidità».

Il ruolo della Corte d'Assise di Roma

Quanto deciso dalla Corte d’Assise di Roma non deve far perdere la speranza ai genitori e alla sorella di Regeni. «Ragioniamo – aggiunge Spangher - con una logica di tipo diverso. È meglio costruire subito un processo solido piuttosto che dire “siamo andati avanti e ottenuto delle condanne” e poi fare i conti con un annullamento. La Corte d’Assise si è messa una mano sulla coscienza. Non è che abbia chiuso il processo. Ha restituito gli atti ad un altro giudice. Il problema potrebbe essere un altro. Come mai non sono stati fatti degli accertamenti? Come mai non sono state fatte delle verifiche in un determinato momento? Non basta la nomina di un difensore. Bisogna che per l’imputato ci sia stata la certezza della conoscenza del processo. E quando non c’è che ci sia la conseguenza che non vuole andare a processo. Il tema della partecipazione all’esercizio del diritto di difesa degli imputati è molto delicato. Le nullità dell’udienza preliminare sono nullità assolute. Mi viene in mente, anche se per una vicenda completamente diversa, quanto accaduto al giornalista Giuliano Ferrara in materia di irregolare convocazione per l’udienza preliminare. Tale problema si trascinò addirittura fino in Cassazione. Si devono quindi evitare irregolarità tali da portare a conseguenze imprevedibili nel processo. Le situazioni di invalidità sono delle vere e proprie mine vaganti».

Il parere del giudice de Gioia

Anche il giudice del Tribunale di Roma, Valerio de Gioia, analizza in profondità quanto deciso in Corte d’Assise. Il magistrato sottolinea l’importanza di non far prevalere gli aspetti emotivi in una vicenda processuale che si conferma complessa. «Capisco – spiega al Dubbio - il disappunto di una parte della opinione pubblica in relazione al provvedimento adottato dalla Corte di Assise, che, nei fatti, ha comportato una regressione di un procedimento che, già estremamente complicato nella fase delle indagini, per via anche di una serie di depistaggi, stenta a partire. Tuttavia, in punto di diritto, si tratta di un provvedimento ineccepibile, considerato che si può procedere in assenza dell’imputato, istituto che, dal 2014, ha sostituito la contumacia, solo se si ha la certezza che la sua mancata partecipazione al processo è volontaria».

De Gioia richiama una importante sentenza della Corte di Cassazione. «In questo caso – evidenzia -, da quello che ho letto, non è stata ritenuta sufficiente la notifica eseguita ai difensori di ufficio degli imputati e in ciò in ossequio alle più recenti indicazioni giurisprudenziali, nazionali e sovranazionali. Come peraltro chiarito dalle stesse Sezioni Unite, con la sentenza numero 23948/ 2019, neanche l’elezione di domicilio presso il difensore di ufficio è sufficiente per la dichiarazione della assenza, dovendo il giudice verificare che vi sia stata una effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l’indagato. Che la tematica del processo in absentia sia delicata è confermato anche dall’attenzione della legge delega di riforma del processo penale cosiddetta Cartabia, che, facendo tesoro delle indicazioni della Commissione Lattanzi, ha delegato il Governo ad intervenire per uniformarla al diritto dell’Unione europea. In particolare alla direttiva Ue 2016/ 343 che tratta, oltre che della presunzione di innocenza, anche del diritto di presenziare al processo. Le regole processuali devono valere per tutti i processi e per tutti gli imputati».

Il diritto ad un giusto processo, dunque, non può essere negato neppure a chi viene accusato della morte del ricercatore friulano. «Sul fatto – conclude de Gioia - che gli indagati, nella sostanza, abbiano conoscenza che in Italia si sta per celebrare un processo che li riguarda, non credo si possano avere dubbi, stante il clamore, addirittura internazionale, dello stesso. Ma ciò non è sufficiente, sotto un profilo formale, per poter procedere nei loro confronti. Il provvedimento, se ci pensiamo bene, tutela soprattutto l’interesse dello Stato e dei familiari della vittima ad evitare la celebrazione di un processo che si preannuncia defatigante e doloroso e che un domani potrebbe essere dichiarato nullo, allontanandoci, così, dall’accertamento della verità».