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L’ennesimo paradosso giudiziario si compie a Roma, dove un uomo si ritrova con una misura cautelare degli arresti domiciliari che non poteva e non doveva essere emessa.
Si avete capito bene, non c’erano i presupposti per emettere la misura. Una sorta di sequestro di persona “legalizzato”. La vicenda vede protagonisti tre giudici della Corte di appello di Roma, tutti con una certa esperienza, che ricevono una segnalazione da parte dei carabinieri di Acilia per una presunta violazione della misura cautelare del divieto di avvicinamento. I tre giudici si riuniscono in camera di consiglio e dispongono di aggravare la misura con gli arresti domiciliari lontano dal nucleo familiare. G. I., padre di quattro figli, si vede i carabinieri in casa che gli intimano di uscire immediatamente e fornire un possibile domicilio alternativo per scontare gli arresti domiciliari altrimenti lo condurranno a “Regina Coeli”.
La realtà è ben diversa, in primo luogo la misura del divieto di avvicinamento era stata già revocata nel corso del giudizio di primo grado, inoltre il reato ipotizzato inizialmente di maltrattamenti era stato riqualificato, nel meno grave, di minacce che non prevede la possibilità di applicazione di alcuna misura cautelare, tutto questo sembra surreale, ma è avvenuto. Evidentemente i tre giudici non hanno letto gli atti del fascicolo che era a loro disposizione.
Dopo 9 giorni di arresti domiciliari senza titolo a G. I. viene revocata la misura a seguito dell’istanza del difensore che scrive ai giudici «attenzione, il vostro provvedimento è “palesemente erroneo in fatto e in diritto, tale da determinare un arresto privo delle condizioni di applicabilità e tale da determinare una futura richiesta di ingiusta detenzione”» . Ieri ( giovedì, ndr) il provvedimento di revoca che, beffa nella beffa, è stato eseguito nella giornata di oggi ( ieri, ndr).
I tre giudici si sono “giustificati” scrivendo, testuali parole: «L’aggravamento è stato disposto sulla base di erronei presupposti emersi unicamente dalla segnalazione fatta dai carabinieri».
Ma i giudici non dovrebbero leggere gli atti del fascicolo?
Come è possibile disporre della vita delle persone senza verificare e sincerarsi della bontà delle proprie decisioni?
Altro caso di ingiusta detenzione senza alcuna conseguenza per chi ha errato in maniera grossolana.
La follia della Giustizia che non riesce ad ammettere neanche lo sbaglio.
La magistratura continua a predicare per gli altri quello che non si applica per i suoi sodali: “Il maggior errore del giudice è di credersi immune dalla responsabilità del delitto per il quale un altro è condannato; è di credersi membro di una società migliore, di una società di eletti” ( Gustavo Zagrebelsky).
Riccardo Radi
Avvocato