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Su Il Dubbio lo avevamo previsto e scritto, come provocazione, all’indomani della famosa telefonata del magistrato Nino Di Matteo in diretta Tv che aveva messo in imbarazzo il ministro Alfonso Bonafede. Mettendo in fila la sequenza dei fatti che suscitarono tanto scandalo, avevamo individuato tutti gli elementi “logico teatrali” che avrebbero riportato in scena la trattativa Stato Mafia. Ci mancava un colpo d’ala, un nuovo filone che spiazzasse e fosse capace di catturare di nuovo l’attenzione degli spettatori, una specie di “Homeland” settima stagione direbbe Massimo Bordin. Ed ecco qua che il colpo d’ala è arrivato. Il pentito Gaspare Mutolo, interpellato come se fosse un fine conoscitore dell’ordinamento penitenziario, ha detto la sua. In sostanza ha spiegato che, a suo avviso, le scarcerazioni dei boss mafiosi fanno parte della trattativa tra Stato e mafia. Una trattativa – sempre a detta sua – che in realtà non si sarebbe mai esaurita. Da fine conoscitore del Diritto penitenziario, ha spiegato che ora i boss potrebbero ritornare a delinquere. I boss, come oramai è noto, non sono 376 ma ben tre. Tutti vecchi e malati terminali. Se fosse vera l’ipotesi di trattativa, come al solito ha partorito l’ennesimo topolino. Per giunta vecchio e decrepito. Ma poco importa. Nicola Morra, grillino e fan irriducibile del teorema giudiziario della presunta trattativa, ha subito fatto sapere all’agenzia Adnkronos che la Commissione Antimafia da lui presieduta non esclude di aprire un’istruttoria sulle parole di Mutolo. Siamo giunti così all’inimmaginabile. La commissione antimafia presieduta da un grillino potrebbe indagare sulla trattativa che sarebbe in corso tra lo Stato e la mafia. Questa volta, però, il governo sotto accusa è quello dove c’è il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede che avrebbe permesso la scarcerazione dei mafiosi. Pensare che le scarcerazioni siano frutto di accordi con la mafia che avrebbe fatto pressione tramite le rivolte, è frutto di superficialità e mancanza di conoscenza. Le rivolte sono provocate dal disagio che imperversa da sempre nelle nostre carceri e l’emergenza Coronavirus ha messo a nudo tutte le fragilità. I mafiosi sono per l’ordine all’interno delle carceri. La ribellione non è nel loro Dna. Le scarcerazioni non hanno ovviamente nulla a che fare nemmeno con quella famosa circolare del Dap, che è un atto amministrativo doveroso in un Paese civile. I magistrati di sorveglianza e i Gip che hanno accolto l’istanza per il differimento pena sono stati indipendenti e lavorato avendo come via maestra la nostra costituzione italiana. Nessun pericoloso boss sanguinario è stato liberato. Nessuna regia occulta.Karl Marx disse che la storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa. Prima c’era il ministro della giustizia Giovanni Conso, fine giurista e già presidente della Corte costituzionale, finito nella macchina del fango solo per aver far fatto rispettare una sentenza della Consulta che obbligava di valutare la proroga del 41 bis caso per caso e non collettivamente. Oggi, invece, ad essere ingiustamente infangato c’è Alfonso Bonafede, avvocato e già vocalist presso diversi locali (fonte Wikipedia).