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C’era da prevederlo. Che sulla prescrizione il clima si sarebbe arroventato era evento facile da pronosticare. In realtà la vera variabile imprevista è la coincidenza tra la partita sulla giustizia e le generali difficoltà del governo. I colpi incassati in rapida successione da Conte su voto umbro e crisi dell’ex Ilva rendono tutto più precario.
Persino sulla giustizia, terreno che sembrava vedere il Movimento 5 Stelle in netto vantaggio. Ora invece tutto lascia presumere che le norme per accelerare i giudizi penali, cuore del progetto Bonafede, finiranno incagliate tra le divergenze interne e risposta andato in scena domenica: prima Bonafede, in un’intervista a Repubblica, ha chiesto agli alleati di smetterla con i «giochetti contro la riforma», a stretto giro gli ha risposto il vicecapogruppo dem alla Camera Michele Bordo che ha intravisto nelle parole del guardasigilli il rischio di «provocazioni gratuite» vista la «correttezza» che ritiene debba essere riconosciuta al suo partito.
Lo stesso Bordo ha paventato il pericolo che con lo stop alla prescrizione si istituisca un «ergastolo del giudizio». Si tratta di una formula alternativa a quella spesso utilizzata alla maggioranza. Non tanto perché le distanze sulle diverse proposte siano incolmabili, ma perché il Pd, Italia viva e persino Leu ( Pietro Grasso a parte) chiedono comunque di riconsiderare anche la norma sulla prescrizione. In assenza di un correttivo almeno parziale sullo stop ai termini di estinzione dei reati, è difficile che arrivi il via libera ai ddl delega già messi nero su bianco dal guardasigilli.
A questo punto la partita rischia di fermarsi proprio con le pedine così disposte: il ministro della Giustizia che non intende modificare il blocca- prescrizione, destinato a entrare in vigore dal 1° gennaio, e il resto della maggioranza che non dà il via libera alla riforma penale. Lo si è capito dopo il botta dall’Unione Camere penali, che preferisce parlare di «imputato a vita». Ma siamo lì.
Nessuna delle ipotesi messe finora in campo, secondo i democratici, sarebbe in grado di assicurare un’accelerazione talmente efficace della macchina penale da rendere addirittura inutile l’istituto della prescrizione. Si ritiene cioè difficilissimo fare in modo che la durata dei giudizi, anche di quelli più complessi, sia sempre contenuta entro una durata comunque inferiore al termine di prescrizione del reato contestato.
E in ogni caso, il Pd suggerisce due soluzioni, nessuna delle quali ha finora convinto Bonafede: rinviare l’entrata in vigore della nuova prescrizione e verificare per un paio d’anni almeno l’efficacia della riforma penale ( di cui andrebbero approvati pure i decreti legislativi, faccenda impossibile da sbrigare entro fine 2019); oppure limitare i rischi con clausole di salvaguardia, come quella che prevede sconti di pena per il condannato se la durata del processo sfonda il muro della prescrizione, o il ripristino della prescrizione per i casi in cui in primo grado si è assolti. Bonafede sembra determinato appunto a scartare entrambe le ipotesi.
A chiedere di verificare prima «gli effetti della riforma, per un tempo congruo», e di «congelare» nel frattempo l’entrata in vigore della nuova prescrizione è stato innanzitutto Andrea Mascherin, presidente del Cnf, massima istituzione forense. Dall’avvocatura arriva anche l’iniziativa dell’Ucpi, che ha attribuito alla nuova astensione dalle udienze, proclamata per la prima settimana di dicembre con tanto di maratona oratoria, un obiettivo preciso: convincere Pd, Italia viva e Leu a votare alla Camera per la legge Costa, che abolisce la nuova prescrizione. Il Pd sembra intenzionato a scartare l’invito, ma anche deciso a restare in trincea sul ddl Bonafede. Almeno per ora.