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La giunta Anm presieduta da Luca Poniz replica a Luca Palamara
Nessuno scenario orwelliano: finita l‘emergenza i processi torneranno ad essere celebrati in aula. Una rassicurazione che arriva dal presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Luca Poniz, intervistato su RadioUno Rai. Ai timori dell’avvocatura, sul piede di guerra per scongiurare qualsiasi possibilità che le leggi d’emergenza diventino normalità, Poniz replica definendo prive di fondamento le polemiche, pure giustificate dalla richiesta avanzata al comitato di presidenza del Csm dai togati di Autonomia e Indipendenza - corrente di Piercamillo Davigo - per riflettere sulla possibilità di rendere stabili alcune delle novità sui processi civili e penali introdotte dal decreto Cura Italia. Poniz assicura che «si tratta di misure strettamente legate a questa fase», per tenere in piedi la macchina giudiziaria «con gli strumenti che la tecnologia mette a disposizione». Un ragionamento sul quale potrebbe aver influito il documento licenziato da Unicost, secondo cui i primi esperimenti di processo da remoto indicano «una complessità nella gestione dell’udienza, che ne dilata non poco i tempi di preparazione e che si presta solo per la trattazione di un numero limitato di procedimenti, con pochi partecipanti, anche per la difficoltà di assicurare la contestuale visibilità». Tale legislazione d’emergenza, utile allo stato attuale, non potrà, dunque, «divenire la legislazione dell’ordinario» e il contraddittorio, nella formazione della prova, non potrà «fare a meno della compresenza dei soggetti del processo». Tocca, intanto, prepararsi alla Fase 2, a quello che avverrà all’11 maggio, quando i processi torneranno nelle aule, che dovranno essere attrezzate per garantire sicurezza e distanziamento sociale. Ma è necessario, anche, consentire il lavoro da remoto al personale amministrativo, onde evitare di rendere vani gli sforzi fatti. L’Unione delle Camere penali, dal canto suo, ribadisce la necessità che l’attività giudiziaria riprenda non oltre la data fissata. «Occorre rimboccarsi le maniche e tornare in aula, con una gradualità indispensabile, regole di protezione e distanziamento, ma in aula, perché il processo penale non può essere celebrato in forma smaterializzata», sottolinea il presidente dell’Ucpi Gian Domenico Caiazza, intervistato da Radio uno. «Da 10-12 anni chiediamo l’informatizzazione del processo penale, inteso come accesso da remoto ai fascicoli e agli uffici, deposito di atti telematico: questo è ciò che si deve fare, ma mai è stato consentito. Improvvisamente ora - aggiunge - si pretende di informatizzare l’udienza e di smaterializzare l’aula, con la possibilità che si faccia la camera di consiglio con i giudici ognuno da casa propria in pantofole». Il processo penale, dunque, diventerebbe così una mera condizione burocratica, «che non è la sua, non c’è nulla di più fisico della discussione in aula». Una via di mezzo è quella proposta dalle Camere Penali calabresi, che con una nota congiunta hanno definito irrinunciabile la presenza dei giudici in tribunale, «sia durante l’udienza che durante la camera di consiglio». Il nucleo duro del processo accusatorio, dunque, deve essere garantito, anche per quanto riguarda l’escussione dei testimoni - per avere contezza «delle modalità di esplicazione delle risposte» ed del «contegno processuale assunto» - e le conclusioni del pm. Solo così, per i penalisti calabresi, «sarebbe possibile tollerare» temporaneamente «prassi applicative introdotte dalla normazione di emergenza» che non hanno nulla a che vedere con il processo penale.