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Il caso dell’ergastolano Antonio Cianci che, usufruendo del permesso premio di un giorno, ha accoltellato alla gola un pensionato di 89 anni per rapinarlo in un parcheggio sotterraneo dell'ospedale San Raffaele di Milano, ha riacceso l’indignazione sulla bontà di questo beneficio. Inevitabilmente è stata evocata, a torto, la sentenza della Consulta in merito alla possibilità di fare istanza per questo beneficio anche per gli ergastolani che non collaborano con la giustizia. Caso che però non riguarda Cianci, visto che non è un ergastolano ostativo. Così come non riguardò altri ergastolani, tipo il famigerato Angelo Izzo, il mostro del Circeo, che ha ingannato – tranne Giovanni Falcone che a suo tempo lo inquisì per calunnia – diversi magistrati fingendosi un collaboratore. Usufruì di un permesso premio e uccise nuovamente.
Il problema che ci possano essere errori di valutazione per la concessione di tale beneficio è scontato. Ma bisogna inquadrare il nostro sistema, altrimenti diventa tutto incomprensibile. Il nostro sistema penale prevede pene molto lunghe. Non solo le prevede ma le applica anche, a differenza di quanto accade in altri Paesi. Si può citare l’esempio della strage dell'isola di Utoya in Norvegia: la pena massima prevista dal codice penale, malgrado i 77 morti, è di 21 anni. Noi abbiamo l’ergastolo e perfino il carcere con fine pena mai, ovvero l’ostativo. Il nostro sistema prevede, però, misure per riequilibrare queste pene visto che abbiamo una Costituzione e, fino a prova contraria, dobbiamo rispettarla. Questo modello di apertura del carcere ha uno scopo ben preciso e indispensabile. Non solo quello di consentire di mantenere i rapporti con la famiglia, di consentire di pensare a un’occupazione per quando si esce, ma serve anche per eliminare l’isolamento e preparare il detenuto a fare i conti con la realtà che gli spetta una volta uscito. Ci sono detenuti che, non usufruendo per diversi motivi di nessun beneficio, quando terminano di scontare la pena ed escono, non sanno nemmeno più come si prende un autobus perché per anni sono rimasti fuori da tutto.
Sì, perché tutti devono avere la speranza di uscire. Anche gli ergastolani ostativi. Lo ha ribadito ieri anche il presidente della Corte costituzionale, Giorgio Lattanzi, intervenendo a Firenze al convegno “Meriti e limiti della pena carceraria”, organizzato dall’Ateneo fiorentino. «Oggi che si sentono espressioni come “buttare la chiave”, “marcire in carcere” - ha spiegato Lattanzi -, cose che non si erano più sentite da anni, è ancora più importante la riflessione sui meriti della pena carceraria». Il presidente della Consulta, ha evidenziato come non si possa giustificare il mantenere in stato di detenzione per chi non intende collaborare. Lattanzi ha ricordato come «la Corte ha detto moltissime volte che le presunzioni assolute non sono consentite».
Ma ritorniamo al permesso premio. È contemplato dall’articolo 30 ter, il quale stabilisce che ai condannati che hanno tenuto una regolare condotta durante l’esecuzione della pena ( 8° comma) e che non risultano essere socialmente pericolosi, possono essere concessi tali permessi dal magistrato di Sorveglianza sentito il Direttore dell’Istituto penitenziario. Tali permessi hanno come obiettivo quello di consentire ai condannati di coltivare, fuori dall’Istituto penitenziario, interessi affettivi, culturali, di lavoro. La durata dei permessi non può essere superiore ogni volta a 15 giorni e non può comunque superare la misura complessiva di 45 giorni in ciascun anno di espiazione della pena. ll fatto di usufruire tale permesso, comporta qualche rischio? Sì, ma la percentuale è bassissima e per un caso su un migliaio non può essere messo in discussione. Secondo i dati del primo semestre del 2019, sono quasi 20.000 i detenuti che hanno usufruito del permesso premio. Ciò dimostra che il sistema funziona benissimo, e per colpa di qualcuno che sbaglia non possono pagarne la conseguenza le migliaia di detenuti che rispettano rigorosamente gli obblighi.