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Con un costituzionalista come Mario Patrono la sorpresa è dietro l’angolo. Non a caso è tra i pochi giuristi che possano vantarsi di essere stati indicati da Pannella per il Csm, e di essere passati dallo stesso Consiglio superiore alla militanza radicale. Così dopo tanti anatemi scagliati contro il programma sulla giustizia presentato da Lega e cinquestelle, il professore emerito di Diritto pubblico della Sapienza se n’esce con una premessa disarmante: «Tra quelle proposte trovo alcune cose di fondo buone: nell’attuale situazione di sfilacciamento etico, credo che la lunga stagione della giustizia mite debba considerarsi esaurita, a benificio di un modello di giustizia più arcigno come quello proposto, fondato sulla certezza della pena, sull’inasprimento di alcune misure e anche su una riforma della prescrizione. Ipotesi che a mio giudizio non vanno nella direzione sbagliata». Poi però l’intervista finisce con il seguente annuncio: «Ci sono cose degne del Grande fratello orwelliano, in particolare il combinato disposto inquietante fra agenti provocatori e intercetta- zioni generalizzate: un quadro incompatibile con lo Stato di diritto, contro cui ogni democratico dovrebbe battersi e che mi vedrebbe personalmente impegnato in tutte le sedi possibili».
Partiamo dalle cose buone: davvero ce ne sono?
Oltre all’idea di un opportuno ritorno al rigore nella vita pubblica, mi pare si colga nel segno a proposito del pericolo di una magistratura inquinata da influenze provenienti dallo stesso Csm, cioè dall’organo che dovrebbe garantire proprio l’autonomia e l’indipendenza della magistratura stessa. Influenze che provengono assai più dai togati che dai laici.
In effetti nel contratto ci si propone di “rimuovere le attuali logiche spartitorie e correntizie” dal Csm.
Attenzione, perché chi pensa di eliminare le correnti sbaglia. È legittimo e plausibile che nella magistratura coesistano posizioni differenziate sia sulla legislazione in campo giudiziario che sull’uso degli spazi interpretativi sempre disponibili nelle norme. Bisogna evitare però che le correnti continuino a essere centri di potere in grado di condizionare la carriere dei magistrati. Il punto è individuare la soluzione per evitarlo.
Con un diverso sistema per l’elezione dei togati?
Non credo. L’idea di di passare dal collegio unico nazionale a singole circoscrizioni può favorire l’affer-mazione del singolo magistrato estraneo ai grandi gruppi, ma parliamo di eccezioni. Certo neppure il sorteggio andrebbe bene.
E cos’altro vede di positivo?
L’impegno per una giustizia più rapida ed efficace. Ma qui incrociamo il tema della prescrizione, la cui riforma può tanto essere uno strumento utile quanto produrre effetti deleteri.
L’idea è di non farla più decorrere una volta che viene formulata la richiesta di rinvio a giudizio.
E no, sbagliatissimo: si otterrebbe il solo effetto di rinviare la conclusione dei processi alle calende greche.
Infatti. E allora perché le piace quell’accenno a una prescrizione riveduta e corretta?
Perché ad esempio sarebbe ottima una legge che prevedesse di applicare la prescrizione per fasi: un termine per le indagini e altri diversi termini per ciascun grado di giudizio. Meccanismo da associare a una responsabilizzazione del presidente del Tribunale o del capo della Procura, che devono essere formalmente chiamati ad approntare il miglior piano organizzativo possibile al fine di evitare la prescrizione dei reati. Ma proprio riguardo all’aspetto organizzativo inizierei con le dolenti note.
Prego.
Personalmente non condivido l’approccio alla revisione della geografia giudiziaria: piuttosto che reintrodurre Tribunali troppo piccoli, come ipotizzato, sarebbe preferibile smbembrare quelli troppo grandi, in modo che ciascun singolo Tribunale abbia un’utenza non superiore alle 500mila persone.
Al di là del fatto che non necessariamente è efficiente una giustizia che costringa parte della popolazione a percorrere distanze improbabili per accedervi, cos’altro si può fare?
Una cosa che può costarmi la lapidazione da parte dei magistrati: prevedere all’interno di tutti gli uffici giudiziari un esperto di organizzazioni complesse che affianchi il presidente del Tribunale o il procuratore.
Un manager non giurista?
Esatto, che operi in regime di leale collaborazione con il dirigente e lo supporti nel razionalizzare il lavoro. Ma i magistrati sono troppo gelosi delle loro prerogative.
Cos’è invece che non va proprio?
Ecco, accanto ad alcune idee condivisibili ce ne sono altre francamente esecrabili. Innanzitutto la dilatazione del concetto di difesa legittima, soprattutto all’interno del proprio domicilio. Si pensa di indebolire il criterio di proporzionalità, che è invece un cardine del diritto penale. Rinunciarvi significa confondere l’area della legittima difesa con quella del crimine. Se si elimina la proporzionalità della reazione, come si distingue la difesa dall’uccidere le persone? C’è una citazione di Eduardo che aiuta a capire un ulteriore risvolto.
Ovvero?
In Le voci di dentro lo stesso De Filippo, a proposito dell’idea di portarsi dietro un bastone a scopo difensivo, controbatte: ‘ Siamo forse uomini di bastone, noi? ’. Si rischia di consegnare l’arma in mano all’aggressore: una logica autolesionista.
Saggezza partenopea.
Sarebbe assai più sensato equiparare la violazione di domicilio al reato di violenza fisica sulla persona, come avviene nei Paesi anglosassoni. Poi c’è la cosa più preoccupante, che ci porta al 1984 di Orwell.
Si riferisce alle intercettazioni?
Nella parte dedicata alla corruzione e in quella sul contrasto delle mafie si adombra un combinato disposto inquietante di agenti provocatori e intercettazioni generalizzate, che minaccia di mettere la politica, le amministrazioni pubbliche e anzi l’intera popolazione alla mercè di polizia e pubblici ministeri. Una situazione di libertà sorvegliata.
Una così grave prospettiva non basta da sola ad annullare gli aspetti da lei giudicati positivi?
Se mi si chiede di compiere una valutazione, non posso prescindere dal segno positivo di diverse delle ipotesi del contratto. Ma quella di ricorrere ad agenti provocatori e intercettazioni a tutto spiano è una proposta incompatibile con uno Stato democratico. Ha come presupposto la cultura del sospetto e l’idea di fondo secondo cui non vi sarebbero innocenti ma solo colpevoli in attesa di essere scoperti.
Il motto di Davigo. Ma non potrà essere il Capo dello Stato ad arginare le ipotesi incostituzionali?
Il presidente della Repubblica puo esercitare i poteri di cui all’articolo 74 solo in caso di incostituzionalità manifestissima, per tutto il resto c’è la Corte costituzionale.
Quindi quello scenario angosciante potrà intanto essere tradotto in legge, poi si vedrà.
Sono ipotesi inaccettabili. I veri democratici, nel caso, dovrebbero battersi e difendere la Costituzione.