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Al Cnf avevano tenuto a essere scrupolosi nello screening delle norme preesistenti. E così già nei primi mesi del 2019 il patrocinio a spese dello Stato era divenuto oggetto di un intenso scambio di valutazioni tra l’istituzione forense e il ministero della Giustizia. Finché il guardasigilli Alfonso Bonafede non ha ottenuto, a fine maggio, il via libera a un ddl in cui il presidente del Cnf Andrea Mascherin ha visto «mantenuti gli impegni con l’avvocatura». Sono state recepite, infatti, gran parte delle indicazioni elaborate dal massimo organo della professione. Sia nella direzione di una «giustizia aperta veramente a tutti, a cominciare dai meno abbienti», come ha tenuto a rivendicare Bonafede, sia rispetto a una maggiore garanzia di tempestività e adeguatezza della retribuzione per l’avvocato. Adesso quel testo è in commissione Giustizia alla Camera, dove filtra un certo ottimismo sulla possibilità che nelle prossime settimane se ne inizi l’esame. Anche perché si tratta di una materia perfettamente in sintonia con un’idea ampiamente condivisa all’interno della nuova maggioranza: favorire i professionisti, in particolare i più giovani, blindare le norme sull’equo compenso, investire sulla giustizia innanzitutto come servizio ai cittadini. Piattaforma che piace a tutti: a Bonafede, al Pd di Zingaretti, e dell’ex guardasigilli Orlando, e certamente allo stesso Renzi. Equità sociale: idea condivisa nel Conte 2 Cosicché le migliorie suggerite dal Cnf al al Testo unico sulle spese di giustizia, dove sono contenute le norme sul patrocinio, disegnano un’altra tessera ben inserita nel mosaico dell’idea “sociale” della giustizia e del lavoro autonomo. Grazie gli avvocati, la nuova maggioranza tripartita troverà a breve un dossier in materia di giustizia assolutamente immune da possibili controversie. Tanto più che il testo Bonafede valorizza anche una norma inserita proprio dal suo predecessore Andrea Orlando nel decreto sui parametri forensi. La retribuzione per il legale che assume il patrocinio di Stato viene infatti determinata con un criterio certo: dovrà essere pari cioè al valore medio dei parametri, che proprio il testo firmato da Orlando nel 2018 ha reso inderogabili nei minimi, non suscettibili quindi di interpretazioni fluttuanti da parte dei giudici. L’ottimismo su un prossimo – e certamente rapido, visti i presupposti – esame sul testo Bonafede filtra da Montecitorio, dove la commissione Giustizia, presieduta dalla 5 Stelle Francesca Businarolo, è composta da diversi avvocati. Non solo, perché anche fonti governative pronosticano che quello sul patrocinio a spese dello Stato possa essere uno dei prossimi ddl in materia di giustizia discussi in Parlamento. D’altronde la seconda commissione di Montecitorio si è liberata dall’ingorgo di provvedimenti dei mesi scorsi: resta solo l’incognita della legge sul fine vita, che sarà sciolta martedì prossimo, quando la Corte costituzionale si pronuncerà sul caso Cappato. A parte il “moloch” dell’aiuto al suicidio, alla commissione Giustizia di Montecitorio è per ora indicata fra i dossier urgenti solo la ratifica di una direttiva anti- terrorismo della Ue. Le novità contenute nel ddl Bonafede Il valore “sociale” del ddl Bonafede sul patrocinio di Stato si coglie nell’estensione dell’istituto ad alcuni nuovi ambiti, sempre secondo le indicazioni elaborate dal Cnf. Viene prevista innanzitutto la possibilità di riconoscere il diritto anche «alle procedure di negoziazione assistita» quando tale soluzione sia «condizione di procedibilità e sia stato raggiunto un accordo». Limitazione, quest’ultima, che il guardasigilli ha spiegato con la volontà di «incentivare il raggiungimento di accordi in funzione deflattiva del contenzioso». Ma la possibilità che sia lo Stato a farsi carico delle spese di difesa viene estesa anche a una materia di particolare delicatezza: viene ora concessa infatti ai minori vittime di maltrattamenti in famiglia o di violazione degli obblighi di assistenza. Tali profili si completano con un dettagliato lavoro di manutenzione normativa per assicurare tempestività nella retribuzione dell’avvocato. In particolare con la previsione che obbliga il giudice a emanare, entro 45 giorni, il decreto di pagamento del difensore in quei casi in cui non aveva depositato tale decreto contestualmente al deposito della sentenza. Viene così risolto il cortocircuito procedurale in cui il professionista tuttora resta intrappolato quando il magistrato “dimentica” l’atto con cui viene liquidato l’onorario, e che costringe l’avvocato a fare causa al Tribunale per vedersi finalmente riconosciuto il compenso. Misure specifiche che mostrano come l’attenzione alla dignità del lavoro professionale sia a pieno titolo un elemento di quell’idea di riequilibrio sociale che lo stesso ministro della Giustizia ha fin qui mostrato di voler perseguire.