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Si svolgeranno a luglio le elezioni per il rinnovo dei componenti togati del Csm. Una parte della magistratura associata, fra cui Area, ha scelto di selezionare i candidati con le primarie. Con Cristina Ornano, segretario della toghe progressiste, commentiamo questa scelta.
Segretario, che significato hanno le primarie?
Abbiamo ridato la parola ed il potere di scelta ai magistrati nella selezione dei candidati, contrastando nei fatti una pessima legge elettorale che, con l’intento dichiarato di spezzare l’egemonia delle correnti, ha finito col favorire il dirigismo o, peggio, le pratiche clientelari. Si è trattato di primarie vere: hanno votato circa duemila magistrati che si riconoscono nella magistratura progressista, quasi mille sono stati i colleghi che i candidati, in un “giro d’Italia” che ha toccato quasi tutti i distretti, hanno potuto incontrare, confrontandosi e discutendo con loro di autogoverno. Un momento di democrazia e partecipazione che ha avuto anche il positivo effetto di rimotivare il gruppo e i suoi simpatizzanti.
Il segretario di Unicost Carrelli Palombi, in una intervista a questo giornale, ha affermato che i magistrati italiani devono poter lavorare in tranquillità senza essere “distratti” da continue elezioni: oltre che per il Csm, si vota per l’Anm e per i Consigli giudiziari. Non condivide?
E’un’affermazione piuttosto curiosa, che cela un’idea di magistratura sotto tutela delle dirigenze ed alle quali delega in bianco persino decisioni vitali, come quelle da cui dipende la nostra reale autonomia ed indipendenza. Il vero pericolo oggi è un altro, ossia una chiusura corporativa che spinga la magistratura a non cercare il dialogo ed il confronto con l’avvocatura, la politica e la società civile, per favorire invece la ricerca di relazioni occulte e rapporti opachi.
Le riforme in materia di giustizia, tema che riguarda tutti, sono sempre terreno di scontro. L’anno scorso l’Unione camere penali ha scioperato per protestare contro la riforma del processo penale. E non si contano le giornate di astensione dei giudici di pace contro la modifica della magistratura onoraria. Cosa impedisce scelte condivise?
A fronte di una democrazia parlamentare ormai in gravissima crisi e di una politica che, specie sui temi della giustizia, naviga a vista e non riesce a progettare e approvare riforme strutturali di ampio respiro, diventa difficile perseguire l’interesse generale. A ciò si aggiunga che la sempre più marcata mediatizzazione dei temi della giustizia spinge alla loro strumentalizzazione sul terreno dello scontro politico, in un gioco di continue disconferme che non aiuta il dialogo e alla fine del quale a rimetterci sono soprattutto i cittadini.
E’ vero, come dice l’ex presidente dell’Anm e futuro candidato al Csm Davigo che la politica da anni ostacola con riforme legislative “ad hoc” l’azione della magistratura?
E’ un giudizio che nella sua sommarietà non può essere condiviso e rischia di trascinare la magistratura in uno sterile antagonismo con la politica. E’ innegabile, piuttosto, che dalla fine della stagione di Mani pulite sia in atto un tentativo di “normalizzazione” della magistratura che ha operato e opera a vari livelli e con strumenti diversi; uno dei quali, forse il più subdolo, è stato il tentativo di instillare nell’opinione pubblica il falso convincimento che la giustizia non funzioni per l’inettitudine o l’incapacità dei magistrati per legittimare provvedimenti punitivi: la legge sulla responsabilità civile e sulle ferie ne sono solo il più recente esempio.
Se fosse un sindaco sotto processo per reati contro la Pa, come si sentirebbe ad essere giudicato da un magistrato che descrive la classe politica italiana affetta da “una devianza che non ha equivalenti in altri Paesi ( cit. Davigo 2017) ”?
Mi sentirei rassicurato dal fatto di vivere in un paese nel quale vige un efficace sistema di garanzie ed una magistratura autonoma, indipendente e, se mi consente, competente. Quanto alla frase citata trovo che, come analoghe affermazioni, siano generalizzazioni inaccettabili, che assicurano un ritorno mediatico a chi le fa ma non sono di alcuna utilità per la giustizia e per i cittadini.
Il caso “Bellomo” ha evidenziato, come dice il presidente dell’Anm Albamonte, il Far west delle scuole di formazione per il concorso in magistratura. Non pensa sia stato sottovalutato il vero problema, cioè che possa aspirare a diventare magistrato solo chi ha i mezzi per permettersi corsi lunghi e costosi?
Fin dall’assemblea di AreaDG 2016 abbiamo affermato l’urgenza del ritorno al concorso di primo grado e la necessità di una revisione complessiva del sistema dell’accesso in magistratura e della prima formazione. Oggi questa richiesta è condivisa dall’intera magistratura, anche se noi conserviamo una posizione più intransigente proprio sul tema delle scuole private, che vanno rese trasparenti e regolamentate. La vicenda Bellomo ha fatto emergere anche il coinvolgimento nella gestione di queste scuole, con modalità non sempre trasparenti, di alcuni magistrati ordinari. E questo è inaccettabile.
Diverse toghe progressiste, negli anni, sono state candidate in Parlamento con il Pd. Per rimanere all’ultima legislatura, Ferranti, Lo Moro, Casson. Alle prossime elezioni, nel Pd renziano, c’è solo Ferri, leader di Magistratura indipendente, la corrente della “destra giudiziaria”. Che effetto fa?
Direi che il Pd ha un problema. Un problema culturale, di scelte e orientamenti valoriali, prima ancora che politico. E’ una scelta che ha destato non poca sorpresa dentro e fuori la magistratura, perché, al di là del fatto che si tratta di un magistrato che appartiene ad un gruppo che fa dell’apoliticità della magistratura la propria bandiera, rende conseguenziale una domanda: quale idea di giustizia porterà in Parlamento Ferri e quale coerenza avrà con l’area progressista?