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Alfonso Bonafede, ministro della Giustizia
Alfonso Bonafede esce soddisfatto dal via libera di Palazzo Madama al nuovo governo e promette: «Ci mettiamo subito al lavoro per dare ai cittadini una giustizia di qualità». Una rassicurazione che non cancella le divisioni col Pd. Significative su diversi punti, a cominciare dalla prescrizione. Ma assai meno nette sul Csm e sul divieto di rientro in magistratura per le toghe che dovessero scegliere l’attività politica. Ecco, su questo versante le distanze esistono, ma sono meno difficili da superare rispetto ai contrasti su altri capitoli.
Lo stesso Andrea Orlando, predecessore dell’attuale guardasigilli e suo “interlocutore naturale” sulla giustizia, aveva di fatto iniziato il suo percorso da ministro con la convinzione di dover limitare il peso delle correnti. In particolare quando, subito dopo l’insediamento, segnalò ai rappresentanti dell’associazionismo giudiziario la necessità di una riforma delle norme sulla responsabilità civile delle toghe, poi effettivamente varata nel 2015 insieme con il senatore socialista Enrico Buemi.
In quella occasione, spiegò che la sola alternativa a una legge che rendesse meno romanzesca la possibilità di agire contro lo Stato per l’errore di un giudice ( o di un pm) sarebbe consistita in una profonda revisione del sistema disciplinare. Ipotesi rimasta nel cassetto, ma contenuta nel disegno che lo stesso Orlando ha poi preparato per riformare appunto il Csm. A metterlo a punto ha provveduto una commissione presieduta da Luigi Scotti, magistrato e a sua volta ex guardasigilli. E nella relazione lasciata a Orlando dagli esperti si trovano diversi punti di contatto con il testo di Bonafede. Non su tutto, per la verità. Con un forte scostamento, anzi, sul ricorso al sorteggio per la scelta dei componenti togati del Consiglio superiore.
«Una corretta lettura dell’articolo 104 della Costituzione», si legge nella relazione Scotti, «suscita innegabili dubbi di costituzionalità su una investitura mediante sorteggio pur se circoscritto ad una prima fase che individui gli eleggibili (...). Tanto più che neppure una preselezione per sorteggio potrebbe impedire il diritto dei non sorteggiati a proporre la propria candidatura». Una lettura che sembrerebbe stroncare l’ipotesi, contenuta appunto nel ddl Bonafede, di individuare una platea di 100 magistrati eleggibili per poi sottoporli a un voto vero e proprio.
Eppure, la relazione Scotti riconosce la necessità di superare il collegio unico nazionale, tuttora in vigore: un modello che, quando venne introdotto, «si ispirava al dichiarato proposito di contrastare taluni degenerazioni correntizie e di impedire indebite interferenze di gruppi associativi. Ma nei fatti», notava la commissione Scotti, «questo scopo non è stato raggiunto, anzi ha creato l’effetto, sicuramente opposto a quello voluto, di limitare i candidati ad un numero corrispondente o comunque di poco superiore a quello degli eleggibili per intese preventive agevolmente controllate da gruppi associativi».
Si tratta, come si vede, di un’analisi quasi perfettamente sovrapponibile alla principale preoccupazione di Bonafede. L’attuale guardasigilli ha indicato più volte il sintomo più grave del correntismo nella situazione creatasi con l’attuale Csm per la sezione della magistratura inquirente: di fronte ai quattro posti disponibili, le quattro correnti hanno candidato un solo pm, che dunque è stato certo fin dall’inizio della propria elezione.
Un paradosso che non ha lasciato “candidati non eletti” nella categoria degli inquirenti, e che il 6 e 7 ottobre prossimi costringerà tutti i magistrati italiani a tornare alle urne per sostituire due consiglieri superiori che si sono dimessi dopo il caso Palamara: i pmAntonio Lepre e Luigi Spina. Gli obiettivi di Bonafede e Orlando sono comuni, e in altri casi lo sono anche le tecniche per raggiungerli: è così, tra l’altro, rispetto alla incompatibilità prevista da Bonafede per i componenti del Csm destinati alla sezione disciplinare che, secondo il suo ddl, non potranno far parte di alcuna altra commissione, per evitare di doversi esprimere sulla promozione di un magistrato che avevano già giudicato sul piano disciplinare.
C’è poi una assoluta convergenza tra l’attuale guardasigilli e il suo predecessore sulla necessità di prevedere la piena partecipazione degli avvocati ai Consigli giudiziari anche quando vanno messi ai voti i pareri sulla professionalità delle toghe: Bonafede l’ha messa nero su bianco nella riforma, Orlando ne aveva fatto una battaglia, che vide però l’opposizione di quasi tutti i gruppi associativi dell’Anm. Accordo totale, come detto, anche sul divieto di rientro in magistratura per i giudici eletti in Parlamento o nominati al governo. Uno stop alle porte girevoli che conferma come i due big della maggioranza in materia di giustizia siano accomunati dalla volontà di uscire dalla soggezione sofferta per anni, dalla politica, nei confronti dell’ordine giudiziario.