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«Qualsiasi misura di esecuzione della pena alternativa al carcere per i mafiosi rappresenta un vulnus al sistema antimafia». Tradotto: i condannati per mafia devono “marcire in galera” anche se rischiano la vita a causa di problemi di salute. E’ un dei passaggi centrali della relazione annuale presentata dalla Direzione investigativa antimafia. Una considerazione quantomeno ardita che ignora, quasi fosse un inutile fastidio, almeno due articoli della nostra Costituzione: l’articolo 7 (“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato) e l’articolo 32 (“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”). Ma, evidentemente, per la nostra Direzione investigativa antimafia, il diritto alla salute e il divieto a trattamenti inumani, valgono per tutti tranne che per i cittadini detenuti accusati di associazione mafiosa.Una dichiarazione decisamente imprudente. La Direzione nazionale antimafia, composta da poliziotti e carabinieri, dovrebbe infatti avere come faro guida ogni singolo Titolo e ogni singolo Articolo della nostra Costituzione. Di più, dovrebbe vigilare affinché nessuno violi la legge fondamentale del nostro Stato. Ma del resto c'è ben poco di nuovo. Una parte della nostra antimafia, nel nome della lotta alla criminalità organizzata, in questi anni ha fatto carta straccia di diritti e garanzie, considerate lacciuoli da anime belle del diritto. Eppure ch indebolisce quei diritti mina la credibilità dello Stato e rafforza ancora di più le mafie che vivono anche di propaganda e “consenso”.