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«Oggi la nostra società è permeata da un giustizialismo alimentato da una sorta di voglia di vendetta, di odio sociale, che si sta quasi affermando come fine ultimo della giustizia e che sta offuscando quei sacri principi di diritto scritti a caratteri cubitali nella nostra carta costituzionale, che non a caso si pone, per questa parte, fra le carte più avanzate del mondo». È quanto afferma il presidente della Corte dei Conti del Lazio, Tommaso Miele, nella relazione per l’avvio dell’anno giudiziario. «Oggi - continua - sembrano essersi smarriti quei sacri principi quali la presunzione di non colpevolezza, il principio secondo cui "onus probandi incumbit ei qui dicit" e non viceversa, perché l’esercizio della funzione giurisdizionale deve essere finalizzato alla affermazione della giustizia e all’accertamento della verità e non alla vendetta, al diritto del cittadino ad una giustizia rapida, efficiente e soprattutto giusta, al diritto ad un giusto processo, al diritto ad una ragionevole durata del processo. Soprattutto noi giudici - prosegue Miele - dobbiamo impegnarci a che non si affermi questa cultura del diritto e della giustizia e dobbiamo impegnarci a riaffermare con forza la cultura delle garanzie, dei diritti del cittadino che i nostri padri costituenti hanno voluto scrivere con tanta chiarezza nella nostra Costituzione». «Come diceva qualche giorno fa il Presidente della Corte costituzionale in una sua intervista ad un noto quotidiano, occorre riaffermare una giustizia dal volto umano. Occorre impegnarsi per la riaffermazione di una giustizia giusta, che è riconciliazione e il giudice deve essere fedele interprete dei principi sopra richiamati sforzandosi di declinare gli stessi realizzando e assicurando il pieno ed effettivo contraddittorio e l’assoluta parità tra le parti, la terzietà e l’imparzialità, e, soprattutto, la ragionevole durata del processo. Il buon giudice non solo deve essere terzo ed imparziale, ma deve anche apparire tale, perché mai deve far venire meno nel cittadino la fiducia in una giustizia giusta. Un processo giusto, poi, va declinato ed integrato con il diritto del cittadino ad essere giudicato da un giudice sereno, equilibrato, che ispira fiducia e che non abbia altra finalità nell’esercizio della sua funzione che quella dell’accertamento della verità e della giustizia. E soprattutto che abbia consapevolezza del fatto che per il convenuto già l’essere sottoposto ad un processo costituisce di per sé una pena. Ed allora come non tenere presenti i tempi della giustizia, la durata del processo. Come diceva il Presidente della Corte costituzionale, Marta Cartabia, nell’intervista sopra ricordata, “un giudizio troppo lungo diventa un anticipo di pena, anche se l’imputato, o il convenuto nel caso del nostro giudizio, non è ancora stato condannato”. Di qui l’impegno a rendere una giustizia rapida, efficace, serena, che rassicuri e che ispiri fiducia, che sappia conciliare il diritto dello Stato ad affermare il proprio potere – nel nostro caso a perseguire il danno erariale – con i diritti del cittadino ad una giustizia giusta».