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Tutti in attesa della rivalutazione, da parte del giudice di Sorveglianza di Sassari Riccardo De Vito il prossimo 22 maggio, dello stato di detenzione domiciliare concesso a Pasquale Zagaria per gravi motivi di salute. Ma la notizia di questi giorni è che Antonino Sacco, condannato per mafia oltre a vari reati come l’estorsione, è rientrato in carcere perché il magistrato di Sorveglianza ha – entro 15 giorni - emesso il provvedimento a seguito dell’indicazione data dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ( Dap) come prevede il recentissimo decreto Bonafede. Prima era al carcere di San Gimignano dove c’è comunque una normalissima assistenza sanitaria, come in ogni istituto penitenziario dovrebbe avere, ora dietro indicazione del Dap - è stato tradotto nel carcere di Livorno dove sarebbe garantita l’identica assistenza sanitaria.
Parliamo di un uomo che sta scontando la sua pena dal 2011. Ufficialmente uscirà dal carcere nel 2027, ma con la liberazione anticipata potrebbe essere libero molto prima. Sacco soffre di una patologia cardiaca, una di quelle malattie considerate fatali se dovesse contrarre il Covid 19. Proprio per questo motivo, la magistratura di Sorveglianza aveva assunto il provvedimento urgente di differimento pena nella forma di detenzione domiciliare ex art. 47- ter comma 1 ter dell’Ordinamento penitenziario. Da ricordare che è una forma provvisoria, soggetta quindi a revisione, tant’è vero che è stato fissato un termine di durata dell’applicazione. Prima di quella data - a prescindere dal nuovo decreto - è comunque possibile che il provvedimento sia revocato anticipatamente. Proprio sotto suggerimento dell’avvocata Giuliana Falaguerra, legale di Sacco, il magistrato aveva disposto la detenzione domiciliare non nel suo luogo di origine, ma in una località del nord.
Con il nuovo decreto qualcosa pero è cambiato. Ha introdotto varie disposizioni tra le quali spicca la rivalutazione a strettissimo giro dei provvedimenti concessivi di misure domiciliari emessi «per motivi connessi all’emergenza sanitaria da Covid- 19», da effettuarsi entro quindici giorni. Nei confronti di Sacco, il Dap in brevissimo tempo ha trovato un posto dove, a parer suo, potrebbe essere assistito. Lo ha scritto nero su bianco in una nota mandata al magistrato di Sorveglianza. «Ai sensi dell’articolo 2 comma 1 si comunica che – scrive il Dap – a Sacco Antonino potrebbe essere associata la casa circondariale di Livorno, sede dotata di ampia offerta specialistica e all’occorrenza delle strutture sanitarie pubbliche del città di Livorno».
Questo è tutto, non è annotata nessuna valutazione da parte dell’azienda sanitaria e si usa un condizionale. «Potrebbe essere associato», è infatti un suggerimento. La magistratura di Sorveglianza l’ha accolto, tendendo anche conto che «attualmente si assiste ad una fase di relativa rimessione della diffusione dell’epidemia, con riduzione del numero dei nuovi contagi e delle infezioni». Ovviamente il riferimento è all’esterno, dove indubbiamente c’è un forte calo dei contagi. Cosa ben diversa nei penitenziari dove i focolai si possono “accendere” da un momento all’altro, come recentemente ha spiegato il garante nazionale Mauro Palma durante un convegno.
Ma il punto è un altro. A ribadirlo è l’avvocata Falaguerra, legale di Antonino Sacco: «Le due carceri, sia quello di San Gimignano dove era precedentemente recluso il mio assistito che quello di Livorno dove attualmente è stato trasferito, - spiega l’avvocata - garantiscono più o meno la stessa identica assistenza sanitaria». Ma allora perché Sacco è stato mandato in detenzione domiciliare nonostante che al carcere di San Gimignano era presente un’area sanitaria che riesce a garantire il servizio? «Infatti la questione non era, ed è, se ci sono o meno i medici, ma se c’è il rischio infezione», risponde l’avvocata. «Non c’entra quindi nulla l’aver trovato un altro luogo, tra l’altro simile, – prosegue Falaguerra –, salvo che riescano ad assicurare il distanziamento per evitare l’infezione e la sua propagazione». Il punto, nel caso di Sacco, non è tanto il discorso sanitario visto che non presenta gravissime patologie, come ad esempio nel caso di Bonura o di Zagaria, ma è l’emergenza Covid 19 che in luoghi chiusi e dove non esiste il distanziamento sociale è tutt’altro che rientrata. La sua è una patologia che si può benissimo monitorare, ma è inevitabilmente mortale se dovesse contrarre il virus. Non è un caso che – a differenza del mondo libero – nei penitenziari si inizia a superare, con prudenza, la fase 1, prevedendo che i colloqui dei detenuti con i familiari fino al 30 giugno si svolgano ancora tramite Skype, garantendo almeno un colloquio in presenza a tutti i detenuti e con almeno un congiunto o altra persona una volta al mese.