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Dal palco del congresso Ucpi Giovanni Legnini ha già da poco regalato un giudizio sul Codice antimafia che ha del clamoroso: «Spero che a riguardo si esprimano presto la giurisprudenza di merito e di legittimità», ossia la Cassazione, «ed eventualmente la Corte costituzionale», che suona come una richiesta di rimediare a un vulnus gravissimo. Poi ai cronisti che subito gli piombano addosso consegna un messaggio ancora più pesante. Stavolta il destinatario non è il Parlamento. Il vicepresidente del Csm si rivolge pur senza citarlo a Piercamillo Davigo e lo infilza così: «In nessun altro Paese europeo è così agevole passare da talk show o prime pagine dei giornali all’esercizio di funzioni requirenti e giudicanti fino alla presidenza di collegi anche della Cassazione».
È una scudisciata. L’ex pm di Mani pulite è finito appunto prima in un talk show, in cui ha detto che l’imputato per un reato prescritto deve vergognarsi se si avvale della prescrizione, poi sul Corriere della Sera per un’intervista in cui assicura di non aver tramato contro Berlusconi. Il bersaglio di Legnini è lui, anche perché Davigo presiede appunto una sezione della Suprema corte, la seconda. E il dardo è letale se si pensa che ieri Repubblica aveva svelato la vera ambizione coltivata dall’ex leader dell’Anm: la presidenza della Cassazione stessa, o la carica di procuratore generale. A decidere, in proposito, sarà proprio il Csm. Di cui Giovanni Legnini rappresenta il vertice.
È una rottura, quella che si consuma al Parco dei principi. Sulle ultime esternazioni di Davigo si era espresso, il giorno prima, un togato del Consiglio superiore, Claudio Galoppi, che in un’intervista al Foglio aveva giudicato grave l’uscita sulla prescrizione. Non solo, perché il consigliere di “Mi” aveva anche prefigurato «conseguenze», evidentemente disciplinari, qualora avessero trovato conferma le voci di un apporto dell’ex presidente Anm al piano anti– Cav dei grillini. Vero che nell’intervista al Corriere Davigo aveva smentito l’incontro con Grillo. Ma intanto la tensione tra lui e il Csm si era già fatta altissima.
Adesso Legnini fa capire che la distanza è incolmabile, ed è difficile credere che si sia espresso senza aver colto in gran parte dei consiglieri di Palazzo dei marescialli uno sconcerto analogo al suo. A proposito dell’esternazione di Davigo, Legnini ha aggiunto: «Fermo restando il diritto sacrosanto alla libertà d’espressione, costituzionalmente garantita, spetta a ciascuno dei protagonisti arginare il fenomeno. Soprattutto a chi tiene al rispetto dell’indipendenza e dell’imparzialità della magistratura, che deve essere percepita come tale anche da tutti i cittadini». Non proprio un viatico a una marcia trionfale dell’ex leader dell’Anm verso la presidenza della Suprema corte.