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Criticità, ma anche qualche piccolo miglioramento soprattutto grazie alle iniziative della regione. Parliamo dell’ultima relazione annuale dell'attività svolta dall'ufficio del garante Stefano Anastasìa dei diritti delle persone private della libertà del Lazio, terza regione in Italia per numero dei detenuti, dopo Lombardia e Campania. Il dato principale che balza agli occhi è il discorso del sovraffollamento che, come al livello nazionale, presenta una sua peculiarità: l'aumento della popolazione detenuta non sembra ascrivibile, come in passato, a una prevalenza degli ingressi sulle uscite, bensì a una riduzione delle uscite rispetto agli ingressi.
Secondo i dati diffusi dal ministero della Giustizia, il 31 dicembre del 2018 in Italia erano detenute 8.525 con pena residua inferiore a un anno, 7.760 con pena residua tra uno e due anni, 5.952 tra due e tre anni, per un totale di 22.237 detenuti, pari al 56% dei condannati presenti in carcere. La gran parte dei condannati presenti in carcere, dunque, sarebbe ammissibile a pene alternative alla detenzione, se non ostassero presunzioni legali di pericolosità sociale, carenza di programmi di reinserimento sociale, inefficienze della macchina giudiziaria e/ o amministrativa.
Così quindi anche nel Lazio: il numero dei detenuti in esecuzione di una pena residua inferiore ai ventiquattro e ai dodici mesi, corrisponde quasi al 50 per cento dei ristretti. Ciò significa che se avessero avuto accesso alle pene alternative come prevede l’ordinamento penitenziario, il sovraffollamento svanirebbe.
Sulla base del lavoro svolto e delle doglianze ricevute dai detenuti, il garante regionale del Lazio ha potuto rilevare ritardi e difficoltà nell'accesso ai benefici e alle misure alternative da parte dei detenuti presenti nelle carceri riferibili in particolare al mancato rispetto del termine previsto per la definizione del programma individualizzato di trattamento ( nove mesi dall’ingresso in Istituto, secondo il previgente art. 27, comma 2 del Regolamento, sei secondo il nuovo art. 13, comma 4 dell’Ordinamento penitenziario); ai ritardi, a volte gravosi, da parte del Uepe competente per territorio nella fornitura delle informazioni necessarie per la valutazione delle istanze; alla esiguità delle strutture esterne di accoglienza per la fruizione delle misure alternative, a discapito soprattutto dei detenuti meno abbienti e degli stranieri; alle carenze di organico giudiziario e amministrativo del Tribunale di sorveglianza, che hanno reso particolarmente critica la situazione nella Casa circondariale di Velletri e nella Casa circondariale di Rebibbia N. C., dove alcuni detenuti per un lungo periodo di tempo hanno avuto un magistrato a turno, con inevitabili disservizi, soprattutto per le istruttorie e le decisioni più complesse.
Particolare rilievo nel percorso di reinserimento sociale dei condannati, tra benefici penitenziari, alternative al carcere e dimissione, secondo il Garante regionale è la disponibilità di un luogo di accoglienza sul territorio, la cui mancanza può rendere inesigibili i benefici e le alternative e particolarmente difficoltoso il reinserimento sociale a fine pena. Per questo motivo, la Commissione ministeriale per la riforma dell’Ordinamento penitenziario, anche sulla scorta delle indicazioni degli Stati generali dell’esecuzione penale, aveva sostenuto la necessità di individuare appositi luoghi di dimora sociale per consentire ai meno abbienti di usufruire di benefici penitenziari, alternative al carcere e sostegno al reinserimento sociale.
Ma ciò non è stato più contemplato dalla riforma dell’ordinamento penitenziario recentemente approvata. Per questo motivo, il Consiglio regionale, su sollecitazione del Garante, ha previsto nel Piano Sociale Regionale il sostegno alla realizzazione di una rete di strutture di accoglienza per detenuti, ex- detenuti e familiari non residenti in visita ai congiunti detenuti nelle carceri del Lazio.