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Una «campagna di sistematica delegittimazione, che in alcuni casi si è spinta fino al dileggio», perfino ad opera di magistrati e, quindi, di colleghi. È un attacco durissimo quello del coordinamento nazionale magistrati di sorveglianza, che con una nota - a firma del coordinatore Antonietta Fiorillo e del segretario Marcello Bortolato - replica alle polemiche dei giorni scorsi, nate a seguito delle scarcerazioni di alcuni boss sottoposti al 41 bis per motivi di salute. Decisioni prese dai magistrati di sorveglianza, valutando atti e documenti, e che hanno spinto la politica - ma anche le toghe antimafia - a criticare aspramente il ministro della Giustizia, chiedendo la testa dei responsabili. E Alfonso Bonafede, accogliendo le richieste, ha subito proceduto a commissariare, di fatto, il Dap, annunciando un coinvolgimento delle Procure antimafia nelle future decisioni di competenza dei tribunali di Sorveglianza. L’ultima polemica, in ordine di tempo, è quella che ha riguardato la scarcerazione di Pasquale Zagaria, detto “Bin Laden”, considerato la mente economica dei casalesi. I magistrati di sorveglianza parlano di «un ingiustificato attacco che rischia di ledere ad un tempo l’autonomia e l’indipendenza della loro giurisdizione, esercitata nel pieno rispetto della normativa vigente, e insieme la serenità che quotidianamente deve assistere, in particolare in un momento così drammatico per l’emergenza sanitaria che ha colpito anche il mondo penitenziario, le loro spesso difficili decisioni». I magistrati fanno riferimento all’articolo 27 della Costituzione, che impone una detenzione mai contraria al senso di umanità. Disposizione che vale per qualsiasi detenuto, «anche il più pericoloso», valutando caso per caso, in collaborazione - «come avvenuto in questi casi» - con tutte le autorità coinvolte, «che hanno il preciso dovere di rispondere nei tempi e nei modi processualmente congrui e nei contenuti adeguati». Nell’attuale situazione di emergenza sanitaria, si legge nella nota del coordinamento, «non si può non apprezzare l’iniziativa dell’Amministrazione penitenziaria, in ottemperanza a norme primarie e regolamentari, di segnalare i casi sanitari critici alla Magistratura di sorveglianza che come di regola adotta tutte le sue decisioni in piena autonomia di giudizio». Decisioni prese sulla base di norme contenute nel codice penale che «prevede la sospensione della pena qualora essa debba eseguirsi nei confronti di chi si trovi in stato di “grave infermità fisica”. Ogni decisione «è destinata ad essere discussa nel pieno contraddittorio delle parti pubbliche e private ed è ricorribile nei successivi gradi di giudizio». Da qui l’inutilità delle polemiche. «Il coordinamento ribadisce che i magistrati di sorveglianza non sono sottoposti a qualsivoglia pressione - conclude la nota - e che continueranno ad avere come proprio riferimento null’altro che non sia la Costituzione e le leggi cui unicamente si sentono sottoposti».