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Durante la presentazione del sedicesimo rapporto di Antigone sulle carceri, significativo l’intervento del neo capo del Dap Dino Petralia. «Ho sempre apprezzato Antigone non solo per il focus che fa sulle carceri – ha detto -, ma per tutto ciò che gira intorno. Per me è un ausilio importante e prometto la mia attenzione alle istanze che provengono dall’associazione». Ma non solo. Il capo del Dap ha voluto sottolineare che il compito dell’Amministrazione penitenziaria non è solo garantire la sicurezza, ma anche «garantire le garanzie». La frase chiave che riassume il sedicesimo rapporto di Antigone sul carcere al tempo del coronavirus è “Non bisogna ritornare indietro”. Perché? Si legge che a fine febbraio i detenuti erano 61.230 a fronte di una capienza regolamentare di 50.931 posti. Il tasso di affollamento ufficiale era dunque del 120,2%, anche se i posti effettivamente disponibili erano circa 4.000 in meno, e dunque il tasso di affollamento effettivo era intorno al 130%. Oggi, proprio per far fronte all’emergenza Covid 19, c’è stata una significativa riduzione della popolazione detenuta che, secondo Antigone, va ridotta ancora di più e mantenere quindi il trend in controtendenza rispetto, appunto, nei mesi scorsi prima dell’emergenza. Il 15 maggio, infatti, i detenuti presenti erano 52.679, a fronte di una capienza regolamentare che al 30 aprile era di 50.438 posti. I detenuti sono dunque calati notevolmente, sono 8.551 in meno rispetto a fine febbraio, «ma – scrive Alessio Scandurra di Antigone - nonostante le polemiche scatenatesi per la concessione della detenzione domiciliare ad alcuni esponenti della criminalità organizzata, di fatto il traguardo auspicato ad oggi non è stato raggiunto». Il dato oggettivo è che comunque la riduzione c’è stata. «Si è costruita una sinergia di rete tra direzioni penitenziarie, magistratura di sorveglianza, associazioni e garanti territoriali – scrive Patrizio Gonnella nella prefazione del rapporto di Antigone -, ai fini della promozione di una tendenza deflattiva. I numeri bassi sono funzionali ad assicurare la legalità interna e internazionale, nonché a creare le condizioni per organizzare politiche carcerarie effettivamente dirette alla reintegrazione sociale. I numeri alti trasformano i detenuti in cifre, dunque anonime per le istituzioni». Ma va mantenuto anche l’utilizzo degli strumenti informatici come skype utili al rafforzamento dei legami tra detenuti e i propri familiari. Gonnella ricorda che da qualche settimana in molte carceri italiane i detenuti utilizzano smartphone di Stato, e non personali, per video-telefonare ai propri parenti. Una circolare dell’amministrazione penitenziaria lo ha autorizzato. «Ben venga – scrive sempre il presidente di Antigone Gonnella - un provvedimento che tiene conto della solitudine, della disperazione, dell’ansia di chi sta dentro e di chi sta fuori. Si tratta di una ‘concessione’ che deve trasformarsi in un diritto, evitando di tornare indietro ai tempi della mancanza assoluta di comunicazione». Il rapporto fa una panoramica, per poi scendere nel dettaglio, sulle condizioni carcerarie di tutto il 2019. Il tasso di affollamento era altissimo. Tutto questo si traduce in condizioni di vita in carcere molto difficili, anche da un punto di vista igienico. In 14 istituti visitati le celle più affollate ospitavano 5 detenuti, in 13 c’erano celle da 6, in due istituti c’erano celle da 7, in 5 c’erano celle che ospitavano anche 8 persone ed in 3, Poggioreale, Pozzuoli e Bolzano, c’erano celle che ne ospitavano 12 contemporaneamente. “Alla faccia del distanziamento sociale”, sottolinea Alessio Scandurra di Antigone. Altro dato posto in evidenza è quello che smonta lo stereotipo per cui in Italia chi va in carcere ne esce subito dopo: «Il 27% aveva una pena compresa tra i 5 e i 10 anni (il doppio della Francia, a fronte di una media europea del 20,5%), il 17% tra i 10 e i 20 anni (media europea del 12%) e il 6% più di 20 anni (media europea del 2,5%). Gli ergastolani erano (e sono) più della media: il 4,4%, a fronte di una media del 3%”, si legge nel rapporto».Si approfondiscono anche le rivolte con la conseguenza di 13 detenuti morti. Ma non mancano alcune segnalazioni di presunte violenze che sarebbero avvenute non per sedare le rivolte stesse ma successivamente. Antigone ha presentato quattro esposti relativi a quattro diverse carceri. Le ricostruzioni parlano di presunti pestaggi brutali e organizzati avvenuti con i detenuti ormai in cella, a luci spente. Antigone aspetta che le indagini facciano il loro corso. Si parla anche della diffusione del covid 19 nelle carceri dove, almeno ad oggi, l’impatto è contenuto. Ma nel contempo si ribadisce che il pericolo non ancora scampato e «quando il virus alla fine entra in luoghi sovraffollati e malsani come le nostre carceri fermarlo diventa molto complicato», sottolinea Scandurra nel rapporto. Non per ultimo viene affrontata la questione dei braccialetti elettronici. «Dove sono i 15.000 braccialetti che dovrebbero essere già attivi? E quanto ci vorrà perché le quasi 12.000 persone a cui manca meno di un anno e mezzo da scontare possano lasciare il carcere munite di controllo elettronico?», scrive Perla Allegri di Antigone ricordando l’ultimo bando vinto e la poca trasparenza sulla questione.