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«Incoerente». L’aggettivo utilizzato dalla Giunta esecutiva centrale dell’Anm contro la scelta di ridurre l’utilizzo del processo da remoto, escludendo l’istruttoria dibattimentale e le discussioni, è chiaro. Ed è, oltre che un attacco alla norma, anche una critica alla strenua opposizione dell’avvocatura contro la smaterializzazione del processo, la cui posizione sarebbe «preconcetta e ideologica». Ad affermarlo sono stati il presidente del sindacato delle toghe, Luca Poniz, e Bianca Ferramosca, componente della Giunta, durante l’audizione del 13 maggio davanti alla Commissione Giustizia del Senato. In quella sede i magistrati hanno infatti illustrato la posizione dell’Anm in relazione alle modifiche adottate a fine aprile, proprio a seguito delle proteste dell’avvocatura e della politica, che paventavano il rischio di una contrazione del diritto alla difesa, con uno sbilanciamento verso la magistratura. Per la magistratura il cambio di passo del governo non sarebbe dunque logico, dal momento che la Fase 2 viene intesa come periodo “emergenziale” e tale sarà, per gli operatori della Giustizia, almeno fino al 31 luglio. Rimangono validi, quindi, i presupposti alla base del primo decreto, quello che prevedeva modalità da remoto ben più estese rispetto a quella attuale. Ma il governo, afferma l’Anm, ha deciso «di cancellare quelle più significative». E prima di chiudere l’audizione ha annunciato la trasmissione di un parere in relazione alle norme in materia di detenzione domiciliare, permessi e differimento della pena. Il processo penale Nel corso della Fase 1 era stato previsto i vari protocolli siglati tra avvocatura e magistratura hanno riconosciuto «l’essenzialità dello strumento (peraltro raccomandato dal Csm) in relazione alle finalità di tutela delle persone coinvolte nel processo» e l’idoneità delle “piattaforme”. Scelte, afferma l’Anm, suggerite proprio dall’atteggiamento dell’avvocatura che reclamava una maggiore tutela della salute e della sicurezza all’interno dei palazzi di Giustizia. E così, affermano Poniz e Ferramosca, la modalità “da remoto” «appare l’unica tesa a garantire il più possibile la celebrazione dei processi». E nella sua formulazione originaria, estesa alla maggior parte delle attività istruttorie, «appariva come coerente con l’emergenza in atto, così come la correlata “delocalizzazione” della camera di consiglio e relative deliberazioni». Modalità adottate anche dalla Corte costituzionale, «nel pieno rispetto del contraddittorio». E tale argomentazione viene usata dall’Anm per rinforzare il concetto: se anche un organo così «sensibile ai princìpi fondamentali e connotato da particolare solennità nel rito» ha deciso di adottare tale sistema, ciò non fa che sancire «la piena compatibilità di misure emergenziali con ogni segmento della giurisdizione». L’audizione è anche un’occasione per respingere al mittente le accuse di voler alterare la fisionomia del processo penale e dei suoi princìpi fondamentali: la posizione della magistratura sarebbe infatti stata quella di «reclamare strumenti tesi a garantire la funzionalità della giurisdizione, altrimenti seriamente compromessa in molte parti del territorio dello Stato». Da qui l’accusa all’avvocatura di aver assunto una posizione «ideologica» e poco coerente con i principi richiamati: «le modalità già introdotte dal legislatore con il già citato dl 18/2020 sono state depotenziate per aver da ultimo il legislatore consentito un ricorso al “processo da remoto” solo se “le parti vi acconsentono”, per tale via affidando alle difese, con forme peraltro processualmente non definite, l’uso di uno strumento processuale di cui proprio le rappresentanze dell'avvocatura hanno contestato la compatibilità con i princìpi fondamentali che presidiano la giurisdizione penale; peraltro, è apparso incomprensibile come valori indisponibili per il legislatore lo diventino per le parti individualmente interessate al processo». Il processo civile Sul versante civile l’Anm ha chiesto l’abrogazione della disposizione che obbliga il giudice civile a tenere l’udienza da remoto ma in ufficio. Una scelta «contraddittoria» rispetto alla ratio delle norme sul distanziamento sociale, dal momento che l’articolo 87 del dl 18/2020 (il Cura Italia) «limita la presenza del personale negli uffici per assicurare esclusivamente le attività che si ritengono indifferibili e che richiedono necessariamente la presenza sul luogo di lavoro, anche in ragione della gestione dell'emergenza». Ma i magistrati denunciano anche la disparità di trattamento riservata al giudice civile rispetto a quello amministrativo, contabile, tributario e penale, «incongruenza ancor più smaccata in ragione della condivisione informatica di tutti i documenti delle cause assicurata dal sistema del processo civile telematico in uso da anni».