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Il Guardasigilli Alfonso Bonafede si appunta sulla giacca la medaglia del riformatore con la norma del carcere per gli evasori: è convinto che si tratti di «una svolta epocale», anzi addirittura «una svolta culturale», perchè in questo modo i cittadini sapranno che lo Stato fa pagare il dovuto a tutti. Con le tasse oppure con il carcere.
Eppure, la norma contenuta nel decreto fiscale che prevede l’innalzamento delle pene per i grandi evasori, con l’attuale forbice che va da 1 anno e mezzo a 6 anni sostituita dal nuovo minimo di 4 e dal nuovo massimo di 8 anni ( oltre all’abbassamento della soglia di punibilità da 150mila a 100mila euro e le confische per sproporzione a chi è condannato invia definitiva per frode fiscale) rischia di incorrere nel più classico dei boomerang da eterogenesi dei fini.
A mettere in guardia via Arenula sono interventi anche due storici sostenitori del carcere come misura punitiva come Piercamillo Davigo e Sebastiano Ardita. «In Italia si calcola che ci siano 12 milioni di evasori fiscali, significa fare 12 milioni di processi: non è realistico» e intaserebbe ulteriormente il già disastrato processo penale, sentenzia Davigo. Un allarme condiviso anche da Eugenio Albamonte, che ha sottolineato come «il problema dell’evasione fiscale sta nella mancanza dei controlli più che nell’assenza di sanzioni» e dunque «introdurre dei reati con pene severe rispondere solo al bisogno di una norma manifesto destinata a restare inattuata nella stragrande maggioranza dei casi». Del resto, la linea sposata sia dall’Anm che dalla rappresentanza istituzionale dell’Avvocatura e dalle Camere penali italiane ai tavoli ministeriali andava in direzione esattamente opposta: sfoltire il numero di reati e soprattutto lasciare ai Tar come illecito amministrativo l’evasione fiscale.
«Tra le strategie da adottare indicate al tavolo ministeriale abbiamo indicato la strada della depenalizzazione, ma se invece vediamo che si intende ampliare l’ambito di rilevanza penale anche per i reati fiscali allora vediamo una contraddizione di fondo», è l’analisi del presidente dei penalisti, Gian Domenico Caiazza, che concorda con l’allarme dei magistrati perchè l’abbassamento delle soglie di punibilità «ingolferebbe ancora di più il sistema con l’effetto di produrre risultati opposti» e conferma la posizione del mondo giuridico: «Le risposte più efficaci e immediate sarebbero quelle di tipo amministrativo».
A conferma di questo è intervenuto anche Antonio Damascelli, presidente dell’Unione nazionale Camere avvocati tributaristi, che al Dubbio ha spiegato come l’ordinamento italiano preveda già dure sanzioni amministrative per gli evasori. Ma soprattutto, secondo la Corte di giustizia dell’Ue, «è contrario ai principi convenzionali di diritto che esista una sanzione detentiva, nonostante la durezza di alcune sanzioni amministrative, che sarebbero da ritenere parificabili al carcere» .
Esattamente nella direzione opposta alla posizione di magistrati e avvocati, invece, si è mosso il ministro. Secondo Bonafede, infatti, la soglia dei 100 mila euro limita numericamente la platea degli evasori ( ma che secondo l’Agenzia delle Entrate corrispondono all’ 82% delle somme evase), dunque evita l’ingolfamento delle procure. Una considerazione, tuttavia, respinta in particolare dai magistrati e dallo stesso Davigo per ragioni di metodo d’indagine: l’entità dell’evasione si scopre alla fine del procedimento penale, dunque il procedimento partirebbe ( e ingolferebbe il sistema) anche nel caso in cui la somma evasa sia ex post inferiore rispetto a quella ipotizzata dall’accusa.
Risultato: una mole ingestibile di nuove inchieste, difficilmente assorbibili dalle procure e dai tribunali ( senza contare che un procedimento penale costa di più di un analogo procedimento punitivo amministrativo). Eppure la maggioranza cavalca compatta verso l’approvazione della misura: unica voce fuori dal coro, quella di Italia Viva. Il capogruppo in Senato, Davide Faraone ha espresso «Perplessità sia sullo strumento che nel merito» e ribadito che alle manette sono preferibili «misure che premiano chi paga le tasse». Che il testo possa subire modifiche in Parlamento ( e Italia Viva ha fatto sapere che presenterà «correzioni» ) lo testimonia il fatto che le norme penali contenute nel decreto fiscale entreranno in vigore solo dopo la legge di conversione ( e non immediatamente come le altre), dunque il Parlamento potrà intervenire per modificarle prima della loro vigenza.