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Maurizio Avola è finito nel registro degli indagati della Procura di Caltanissetta. Il reato ipotizzato è calunnia. È bastato questo, per Il Fatto Quotidiano, per condannare il libro “Nient’altro che la verità” di Michele Santoro. Non solo. È bastato, per tre quarti dell’articolo, riprendere le parole del procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, per parlare di depistaggio.
Non è chiaro, però, se tale iniziativa sia autonoma, oppure la denuncia è partita dal mafioso Aldo Ercolano, nipote e braccio destro di Benedetto Santapaola (detto Nitto), capo della Famiglia di Catania.
La pietra dello scandalo è la rivelazione di Avola circa la presenza sua e di Ercolano in Via D’Amelio. In particolare nel garage dove era nascosta la Fiat caricata di esplosivo. Quella che ha fatto saltare in aria Paolo Borsellino e la sua scorta. Gaspare Spatuzza parlò della presenza di una persona estranea, e subito si è ipotizzato che potesse essere un agente dei servizi segreti. Eppure Spatuzza, all’epoca della strage, ancora non era un uomo d’onore, per cui non poteva conoscere tutti gli appartenenti a Cosa Nostra. Avola riferisce che poteva essere lui o, appunto, Aldo Ercolano.
Ricordiamo che Avola ha parlato anche della partecipazione di Matteo Messina Denaro nella strage. Il Dubbio, rileggendo le intercettazioni di Riina, ha trovato un probabile riscontro che ora è al vaglio della procura nissena.
La nota a firma di Michele Santoro e Guido Ruotolo stigmatizza l’articolo de Il Fatto: «In un articolo di oggi, ennesima polemica contro “Niente altro che la verità”, scrive che in trenta anni di processi si sarebbe giunti a prove e conclusioni che dimostrerebbero in maniera inconfutabile la partecipazione nella esecuzione delle stragi di “servizi segreti deviati e soggetti esterni alla mafia”». I giornalisti Santoro e Ruotolo proseguono nella nota: «Siccome a noi non risulta, sarebbe interessante che l’autore producesse le sentenze dalle quali ricava le sue certezze indicando con nomi e cognomi gli autori dei reati e le pene che sono state a loro inflitte, perché altrimenti le sue restano chiacchiere senza significato».
E aggiungono: «Che le condivida Scarpinato pone il giornalista e il magistrato sullo stesso piano e non dimostra un bel niente. Tantomeno si può considerare la semplice iscrizione di Maurizio Avola nel registro degli indagati come una condanna del libro». E concludono: «È impressionante vedere mafia e “antimafia” attaccare un libro con tanto livore ma la consideriamo una ennesima prova di come certo giornalismo e certa magistratura stiano lentamente sprofondando in una palude da cui faticano ad uscire».
Nel frattempo, è notizia di questi giorni, che c’è un aspirante pentito, tale Gaetano Fontana, che ha annunciato rivelazioni inedite sulla strage di Via D’Amelio. Fontana sostiene che dal padre, il capomafia Stefano, oggi deceduto, seppe delle confidenze ricevute da Totò Riina e cioè che ci fu un’accelerata nell’organizzazione della strage. Per ora nulla di nuovo, la decisione dell’accelerazione è di dominio pubblico.