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Le nomine seguono la logica del manuale Cencelli: se appartieni ad una corrente fai carriera, altrimenti ti tocca sgomitare o essere talmente bravo da non poter rimanere fuori. Si potrebbe riassumere così l’intervista di Luca Palamara a Massimo Giletti di domenica sera. Con la pacifica ammissione dell’esistenza di un metodo interno alla magistratura, che dal 2006 si sarebbe ammalata di «carrierismo», portando alle degenerazioni che oggi rendono inevitabile una riforma del Csm. Palamara tenta di mettere ordine nella vicenda, non un sistema di corruzione - l’accusa è caduta - ma comunque un sistema, che determina le sorti delle procure. La precisazione è d’obbligo: ai posti di vertice, afferma Palamara, ci finiscono comunque i più bravi. Quindi i cittadini possono stare tranquilli. Ma se i più bravi sono fuori dalle correnti ed estranei alla loro logica, allora la salita è più faticosa, se non impossibile.
«Mi sento e sono uomo delle istituzioni, amo la magistratura, porto la toga nel cuore», esordisce l’ex consigliere del Csm, ex presidente di Anm e pm sospeso. «Non ho inventato io il sistema delle correnti, identificare me con il male assoluto è una posizione che potrebbe far comodo a qualcuno» ma non vera, ripete. Non fa i nomi di coloro che avrebbero potuto trarne vantaggio, ma la cosa rimane sullo sfondo. Anche perché Palamara spiega un meccanismo comune a tutte le correnti: rivolgersi al proprio referente al Csm per ottenere un posto, un ruolo dirigenziale, una promozione. Una storia non certo nuova, aggiunge. «Il mio ruolo era quello di mediare all’interno delle singole correnti, il Csm è il luogo dove necessariamente occorre fare una determinata mediazione per nominare un dirigente di un ufficio.
Oggi si sta demonizzando tutto questo - sottolinea -, però vorrei far notare che questo sistema ha prodotto Francesco Greco a Milano, Gianni Melillo a Napoli, Nicola Gratteri a Catanzaro, Giuseppe Amato a Bologna. Stiamo parlando del fior fiore degli inquirenti in Italia», che Palamara usa come scudo a garanzia della bontà delle sue scelte. La politica, però, non c’entra nulla: «voglio sfatare questa idea che il politico dall’esterno è in grado di incidere sul procuratore di turno», giura, è solo il Csm a decidere, nella stanza 42, dove avviene la mediazione. E Luca Palamara «è parte di un organo collegiale, ipotizzare che sia solo Luca Palamara a far convergere tutto verso un’unica situazione sicuramente è un’operazione che oggi dà una falsa rappresentazione della realtà». Una realtà che passa attraverso uno snodo cruciale: la riforma del 2006- 2007, che stravolse la magistratura, portando all’introduzione del carrierismo. «I posti, soprattutto quello di procuratore, sono molto ambiti, perché sono posti di potere», aggiunge. Insomma, tutto ruota, in definitiva, attorno a quello. «Negare che le correnti siano una scorciatoia - sottolinea - significa dire una bugia e oggi io le bugie non le posso più dire». C’erano «tanti Luca Palamara», tanti mediatori, ma «dire che è un mercato delle vacche non risponde alla realtà».
Gli accordi sono «fisiologici per individuare una persona». E le chat -60mila in totale - rappresentano solo una piccola parte della verità, sintetizzata alla meno peggio, a volte decontestualizzata, banalizzata. Come la famosa chat con l’invito ad attaccare l’allora ministro Matteo Salvini, al quale Palamara ha già chiesto scusa. «C’erano altrettanti messaggi di segno opposto», dice per smarcarsi, pur riconoscendo l’inadeguatezza di quel linguaggio. L’intento, spiega, era difendere la magistratura, sotto attacco proprio per aver indagato Salvini. Che, dal canto suo, non gradisce la spiegazione. «Dichiarazioni surreali - taglia corto - è urgente una riforma vera della Giustizia». Giorgia Meloni definisce «gravissime» le parole di Palamara, chiedendo una riforma sui criteri composizione del Csm e dimissioni dei magistrati coinvolti nello scandalo». E Maurizio Gasparri avverte: «non daremo tregua a questa gente».