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«A quei tempi i collaboratori scontavano varie pretese, giuste o meno, e vedevano nell’ufficio del procuratore una speranza alla risoluzione di quelle problematiche. In quel periodo a me è capitato che mi telefonassero Cancemi, Mutolo, Di Carlo. Capitava che negli uffici accadesse questo». Lo ha detto il consigliere del Csm, Nino Di Matteo, deponendo al processo sul depistaggio sulle indagini di via D’Amelio, in corso davanti al Tribunale di Caltanissetta. Imputati di calunnia aggravata tre poliziotti, Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, ex componenti del gruppo Falcone-Borsellino della Squadra mobile di Palermo che si occupò di gestire Vincenzo Scarantino, rivelatosi poi un falso pentito. L’ex pm Nino Di Matteo ha risposto alle domande del procuratore aggiunto Gabriele Paci. «In quel momento stavamo facendo il massimo sforzo sulle stragi e per imbastire i processi. C’erano centinaia di latitanti, con i mafiosi che venivano in queste aule. Se ti chiamavano i collaboratori lo facevano - ha detto - per i problemi che avevano in carcere. Ma mai nessuno di loro si è mai sognato di parlarmi di processi. Io parlo per me ma, all’epoca, io ho "preparato" Cancemi, Ferrante, praticamente quelli che smentivano Scarantino: prepararli significava ricordargli di non entrare in polemica con le parti processuali, di mantenere un comportamento educato e ricordare l’oggetto del processo. All’epoca era una prassi seguita da tutti».