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«La giustizia è una virtù cardinale, ma lo è anche la prudenza: se vedo uno uscire da casa mia con l'argenteria, non aspetto la sentenza di Cassazione per non invitarlo più a cena». Così il togato del Csm, Piercamillo Davigo, ospite ieri a Piazzapulita, ha parlato della giustizia italiana. La tesi di fondo, ribadita in più occasioni, è stata: l’errore italiano è stato quello di dire sempre: “Aspettiamo le sentenze”. Il magistrato ha poi affrontato il tema dello scandalo Csm dopo il caso Palamara e ha difeso la categoria: «La maggior parte dei magistrati italiani è perbene, poi ce ne sono "permale", il compito è distinguere. Non è vero che la gran parte dei magistrati sono coinvolti. Bisogna distinguere tra chi ha fatto qualcosa e chi no». Davigo ha ricordato anche che, subito dopo i fatti del maggio dello scorso anno «ci fu un’assemblea durissima a Milano, al termine della quale fu approvato, all’unanimità o quasi, un documento che iniziava "non nel nostro nome" e in cui si chiedevano le dimissioni dei consiglieri coinvolti, e quei consiglieri si sono dimessi. Se questo accadesse in tutte le istituzioni staremmo probabilmente meglio, non ci sarebbero queste tensioni». Davigo, che ha risposto in modo piccato alla domanda se il caso Palamara e intercettazioni lo sconvolgesse, rispondendo che non lo sconvolgeva perchè lui non era coinvolto, ha poi raccontato un episodio personale: «una sera ero a un dibattito a Roma dove c’era anche Palamara. Andando via ho chiesto quale mezzo pubblico potessi prendere, lui ha sentito e mi ha offerto un passaggio. Immagino che avesse già il trojan attivato ma non ci sono intercettazioni contro di me, perché io queste cose non le faccio, e come me ci sono migliaia di magistrati che non le fanno».