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Depositate mercoledì scorso le motivazioni della sentenza con cui la Consulta ha "promosso" il blocco della prescrizione durante il lockdown
«Sebbene queste persone abbiano gravemente violato il patto di solidarietà sociale che è alla base della convivenza civile, attiene a questa stessa convivenza civile che ad essi siano comunque assicurati i mezzi necessari per vivere». Sono le parole scolpite dalla Corte Costituzionale per dichiarare illegittima la revoca dei trattamenti assistenziali ai condannati per mafia e terrorismo. È stato il tribunale ordinario di Fermo, sezione lavoro, a sollevare questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 61, della legge del 2012, relativa alle “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”. La disposizione censurata prevede che: «entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il ministro della Giustizia, d’intesa con il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, trasmette agli enti titolari dei relativi rapporti l’elenco dei soggetti già condannati con sentenza passata in giudicato per i reati di cui al comma 58, ai fini della revoca, con effetto non retroattivo, delle prestazioni di cui al medesimo comma 58, primo periodo». La questione sollevata trae origine dai provvedimenti di sospensione, prima, e di revoca, poi, delle prestazioni assistenziali concesse, adottati dall’Inps nei confronti di G. T. Parliamo di un ex collaboratore di giustizia, condannato per reati commessi dal 1995 al 2003 e attualmente in regime di detenzione domiciliare, nonché portatore di handicap e invalido totale e permanente, con conseguente inabilità lavorativa. In virtù delle condizioni di assoluta indigenza economica, inoltre, allo stesso è stato riconosciuto il diritto a percepire la pensione d’invalidità civile. Ma a decorrere da maggio 2017 è stata revocata detta prestazione, con la richiesta di restituzione delle mensilità versate dal 1° marzo 2017. Per la Consulta, con la sentenza numero 137, relatore Giuliano Amato, è «irragionevole che lo Stato valuti un soggetto meritevole di accedere a tale modalità di detenzione e lo privi dei mezzi per vivere, quando questi sono ottenibili solo dalle prestazioni assistenziali», perché «sebbene queste persone abbiano gravemente violato il patto di solidarietà sociale che è alla base della convivenza civile, attiene a questa stessa convivenza civile che ad essi siano comunque assicurati i mezzi necessari per vivere». Per questo la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzione del comma 61, e, in via consequenziale, del comma 58 dell’articolo 2 della legge n. 92 del 2012. Il comma 58 prevede che con la sentenza di condanna per i reati più gravi, il giudice dispone la sanzione accessoria della revoca delle prestazioni dell’Inps. Mentre il comma 61 stabilisce che tale revoca, con effetto non retroattivo, è disposta dall’ente erogatore nei confronti dei soggetti già condannati con sentenza passata in giudicato all’entrata in vigore della legge del 2012. Tutto ciò è incostituzionale.