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Gli Ordini svolgono una funzione pubblicistica. Che non può essere messa in discussione, né limitata dall’Antitrust. L’Autorità garante deve ricordarsene anche, nello specifico, quando si occupa di controversie interne al sistema ordinistico notarile. È uno dei pilastri scolpiti dalla sentenza della Corte costituzionale depositata giovedì, la n. 13 del 2019, che contribuisce a fare chiarezza sulla natura non solo delle istituzioni notarili ma, concettualmente, di tutte le professioni ordinistiche, a cominciare da quelle forensi.
La stessa Authority deve anzi agire in ossequio alla propria «funzione amministrativa discrezionale», il cui esercizio comporta «la ponderazione dell’interesse primario con gli altri interessi pubblici e privati in gioco». E infatti, la Consulta ha ritenuto l’Antitrust non titolata a interessarsi delle controversie insorte fra il Consiglio notarile di Milano e alcuni studi “particolarmente performanti”. Di fatto ha così lasciato integro, salvo tornare ad interessarsene ma non su impulso dell’Antitrust, lo spazio sanzionatorio rafforzato, per le istituzioni notarili, dall’introduzione, a fine 2017, di un nuovo comma secondo all’articolo 93 ter della legge professionale dei notai. La Corte costituzionale preserva tale autonomia disciplinare dei Consigli locali e del Consiglio nazionale del Notariato nel momento stesso in cui, con la sentenza depositata il 31 gennaio, non riconosce titolo all’Antitrust nel sollevare questioni di legittimità costituzionale, cosa che l’autorità aveva provato a fare proprio rispetto alla appena ricordata modifica della legge notarile.
Resta dunque integro il potere istruttorio e sanzionatorio delle istituzioni del Notariato riguardo alle condotte di quegli studi professionali che tendono a determinare una eccessiva concentrazione del mercato e ad acquisire elevate quantità di lavoro innanzitutto con la leva dei prezzi fortemente ribassati. E qui siamo all’altro aspetto significativo della pronuncia numero 13 della Corte costituzionale: le tariffe. La corsa al ribasso esasperato, attuabile ovviamente solo dai grandi soggetti, non è una condotta innocua ed evidentemente squilibra il mercato, danneggia gli altri operatori. Sono peraltro queste le considerazioni in base alle quali il Consiglio notarile di Milano a gennaio 2017 aveva avviato, come poi contestato dall’Antitrust, le «iniziative disciplinari nei confronti dei notai maggiormente produttivi ed economicamente performanti, accompagnate da un’attività segnaletica volta a dare risalto a tali iniziative». E tali iniziative erano partite da «richieste a tutti i notai del distretto di dati “concorrenzialmente” sensibili, al fine di fare emergere le posizioni di preminenza economica». Questo perché gli studi definiti «più performanti» dall’Antitrust avevano dato vita a una politica esasperata di prezzi ribassati possibile solo per poche grandi strutture. Lo avevano fatto in virtù di «modalità innovative di organizzazione, con istruttorie affidate a strutture esterne e accorpamenti di uffici e dipendenti». A Milano insomma si era ormai innescato il meccanismo tipico dei processi economici con cui i grandi soggetti cannibalizzano gli altri, innanzitutto mediante strategie di esternalizzazione e concentrazione. Strade che, almeno in astratto, sono collaudati sistemi per mortificare le singole professionalità e che dunque possono arricchire alcuni, ma al prezzo di ridurre diversi professionisti al rango di articolazioni impiegatizie o semplicemente di prosciugarne il portafoglio clienti.
La norma di fine 2017 aveva sottratto sia il Consiglio nazionale del Notariato che i Consigli locali proprio al controllo dell’Antitrust, in base alla ratio per cui i notai non possono essere considerati imprese al pari degli ipermercati, ma vanno equiparati a quelle attività che “gestiscono servizi di interesse economico generale”. Norma di cui appunto l’Antitrust ha provato a dimostrare l’illegittimità costituzionale, ma che è rimasta al sicuro proprio grazie alla decisione con cui la Consulta ha negato all’autorità la possibilità stessa di sollevare tale eccezione.
Se i notai non sono imprese come le altre, le loro istituzioni non sono associazioni d’impresa. È questo l’altro principio che discende dalla sentenza 13 del 2019. E anzi, i Consigli notarili possono agire in modo da affermare il principio di una concorrenza sana basata sulla qualità anziché sulla fagocitazione a colpi di ribassi. Ad analogo principio si era ispirato il Consiglio nazionale forense quando era intervenuto per frenare corse ribassiste lanciate da alcuni studi in spregio alle garanzie di qualità. Interventi non a caso contrastati dalla stessa Antitrust attraverso sanzioni milionarie, il cui iter non si è ancora del tutto esaurito. Ma certo una pronuncia come quella di due giorni fa si muove in una direzione che rimette al primo posto un’idea equilibrata e non darwiniana del mercato professionale.