PHOTO
I migranti sottoposti ai centri di detenzione amministrativa (Cpr, i centri di permanenza per il rimpatrio) vivono in condizioni deplorevoli e, visto l’allungamento dei tempi di intrattenimento, il governo deve valutare la necessità di porre rimedio. A dirlo è l’autorità del Garante nazionale delle persone private della libertà, perché, a distanza di alcuni mesi dalle ultime visite, ha effettuato nuove visite in quattro dei sei Centri per il rimpatrio presenti sul territorio italiano. Ricordiamo che i Centri di Permanenza per i Rimpatri (Cpr), rinominati (prima si chiamavano Cie) dalla legge Minniti- Orlando (L 46/ 2017), sono strutture detentive dove vengono reclusi i cittadini stranieri sprovvisti di regolare titolo di soggiorno.
Il 6 giugno una delegazione guidata da Daniela de Robert, componente del Collegio del Garante, si è recata presso il Cpr di Ponte Galeria, a Roma, nel quale ha visitato l’appena riaperta sezione maschile. Il 18, il 19 e il 20 giugno, una delegazione guidata dal Presidente Mauro Palma e dalla stessa de Robert, ha visitato i Cpr di Palazzo San Gervasio (in provincia di Potenza), di Bari e di Brindisi.
L’autorità del Garante denuncia che la situazione degli ospiti rimane molto dura e preoccupante, sia dal punto di vista della vita quotidiana, che scorre senza nessuna attività, con evidenti ripercussioni sulla salute psicofisica delle persone ristrette (fino a sei mesi o anche più), sia per quanto riguarda le condizioni materiali degli ambienti, spesso danneggiati o incendiati da precedenti ospiti ma mantenuti in tali condizioni di deterioramento e di assenza di igiene.
«Alcune criticità - scrive in una nota il Garante - appaiono persino più gravi che in passato, in primo luogo perché la possibile prolungata permanenza rende ancora più inaccettabili talune condizioni, in secondo luogo perché nuove criticità si sono prodotte nel tempo: per esempio il guasto, riscontrato in un Centro, di tutti i telefoni pubblici che, unito alla mancata disponibilità di telefoni cellulari da destinare agli ospiti, rischia di comprimere il diritto alla difesa e quello all’unità familiare». In alcuni Cpr, denuncia sempre l’autorità del Garante, non esistono ambienti forniti di tavoli e gli ospiti si trovano costretti a consumare i pasti sul proprio letto.
«Una privazione della libertà scrive sempre il Garante - disposta perlopiù non in conseguenza di reati ma per irregolarità amministrative non può essere simile o peggiore a quella di chi sconta una pena». Aggiunge che tantomeno può prevedere minori garanzie di tutela dei propri diritti: per questo il diritto al reclamo e il potere di vigilanza dell’autorità giurisdizionale devono essere introdotti per le situazioni di privazione della libertà delle persone migranti, come il Garante nazionale ha da tempo raccomandato.
Dopo aver visitato recentemente il Porto di Civitavecchia e le zone aeroportuali di Fiumicino e Malpensa, il Garante nazionale il 20 giugno ha altresì visitato il Porto di Bari – il primo Porto d’Italia per respingimenti – e le relative pertinenze, esaminando le procedure di espulsione e di respingimento, al fine di evitare che l’Italia debba rispondere in sede internazionale per eventuali violazioni.