PHOTO
Provenzano
L’Italia condannata per aver rinnovato il 41 bis a Bernardo Provenzano, violando così il suo diritto a non essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti. Una condanna che arriva, a camere chiuse, dalla Corte europea dei diritti umani. Un ricorso presentato tempo orsono dall’avvocata Rosalba Di Gregorio, divenuta il difensore di fiducia di Bernardo Provenzano. La Corte aveva chiesto una serie di documenti e approfondimenti al governo italiano. La sentenza giunge a più di due anni di distanza della morte dell’ex capo della mafia che dal punto di vista celebrale era gravemente compromesso, in stato vegetativo tanto da essere nutrito con un sondino.
Da diverso tempo, prima di morire, era in coma. Eppure, nonostante diverse istanze che chiedevano la revoca del regime duro, Provenzano alla fine è deceduto senza che i familiari potessero dargli l’ultima carezza. Morì in una stanza singola dell’ospedale San Paolo di Milano, video- sorvegliato tutto il giorno e con le ristrettezze afflittive contemplate dal regime duro come appunto il vetro blindato, che nel gergo carcerario viene chiamato “l’acquario”. I familiari potevano vederlo solo una volta al mese, dietro un vetro, e tentare di parlagli tramite un citofono che uno del Gom ( gruppo operativo mobile) gli teneva vicino all’orecchio. Ovviamente del tutto inutile, visto che Provenzano non rispondeva, né riusciva ad aprire gli occhi.
La sentenza della Corte di Strasburgo ripercorre la storia di Provenzano e la sua vicissitudine clinica durante la detenzione al 41 bis. Indica ovviamente il contesto, spiegando che Provenzano era stato in fuga per oltre quaranta anni, ed era stato poi arrestato l’ 11 aprile 2006. Parecchie serie di procedimenti penali furono avviate contro l’ex capo della mafia, al seguito delle quali arrivarono le condanne a venti ergastoli per omicidio multiplo, tentato omicidio aggravato, traffico di droga, rapimento, coercizione criminale, furto aggravato, possesso illegale di armi da fuoco e, naturalmente, appartenenza a Cosa Nostra. Altri procedimenti penali erano ancora pendenti nei confronti di Provenzano. Nell’ambito di uno di tali procedimenti – esattamente il processo sulla cosiddetta trattativa stato – mafia, il 7 dicembre 2012 il Giudice istruttore preliminare del Tribunale distrettuale di Palermo aveva ordinato una valutazione da parte di esperti sulla salute del richiedente al fine di valutare la sua capacità di comprendere e quindi alla possibilità di partecipare razionalmente all’udienza preliminare. Il 12 dicembre 2012 gli esperti nominati dal tribunale effettuarono un primo esame. Che però non arrivò a una conclusione perché il 17 dicembre 2012 l’ex boss fu sottoposto ad intervento chirurgico per rimuovere un ematoma subdurale dal suo cervello.
Sulla base del loro primo esame e delle cartelle cliniche di Provenzano, gli esperti riferirono comunque che mostrava una ridotta consapevolezza e reattività nei confronti dell’ambiente circo- stante, nonché una limitata capacità di esprimersi. Con un’ordinanza dell’ 8 gennaio 2013 il Gup rinviò il procedimento nei suoi confronti. Nello stesso periodo furono organizzate numerosi consulti specialistici e Provenzano fu esaminato da un cardiologo, uno specialista in malattie infettive, un urologo, un endocrinologo, un otorinolaringoiatra uno pneumologo, un ortopedico, un fisiatra e uno specialista in nutrizione. Furono eseguiti numerosi test diagnostici su di lui.
Il 7 giugno 2013 fu trasferito all’Ospedale di Parma, dove è rimasto fino al suo trasferimento al Centro di Trattamento e Diagnostica ( centro diagnostico terapeutico) del carcere Opera di Milano. Il 9 aprile 2014 venne ricoverato, sempre al 41 bis, dell’Ospedale San Paolo di Milano, e ci rimase fino alla morte.
Secondo la più recente relazione medica in archivio, rilasciata dall’ospedale San Paolo di Milano nell’aprile 2015, la situazione neurologica del richiedente era stabile, sebbene il suo progressivo declino nel funzionamento cognitivo viene descritto come grave. È costretto a rimanere al letto, ha un catetere urinario e riceve il suo supporto nutrizionale attraverso un sondino naso- intestinale. La sua situazione si è ulteriormente aggravata, portandolo a uno stato comatoso fino a morire il 13 luglio del 2016.
Ora la Corte di Strasburgo condanna il governo dicendo che gli è stato rinnovato il 41 bis, nonostante i referti accertassero il suo grave stato di salute. La Corte, indirettamente, punta l’indice anche sulle relazioni della Dda di Palermo, che riteneva la necessità del 41 bis ( ancora capace di mandare messaggi all’esterno e quindi resta un soggetto pericoloso, requisito che la legge richiede per il mantenimento del regime detentivo speciale) senza prendere in considerazione i referti medici che attestavano il suo stato vegetativo. Secondo la Corte, l’Italia ha quindi violato l’articolo 3 della Convenzione in cui si dice che «nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti».
Raggiunta da Il Dubbio, l’avvocata Rosalba Di Gregorio, ha espresso felicitazioni per la sentenza di condanna e racconta la sua battaglia legale per chiedere la revoca del 41 bis. «Non ho mai fatto alcuna istanza di scarcerazione – ci tiene a sottolineare l’avvocata -, ma ho chiesto la revoca del 41 bis in tutte le sedi possibili, a Parma, Milano e a Roma. A questo si aggiunge che i tre ministri della Giustizia che si sono susseguiti, quindi la Severino, la Cancellieri e infine Orlando, si sono preoccupati di rinnovare il 41 bis nonostante Provenzano non fosse capace di intendere e di volere, infatti avevamo ottenuto dal tribunale di Milano la nomina dell’amministratore di sostegno perché incapace, appunto, persino di capire le notifiche che gli arrivavano. Ma per i ministri che si sono susseguiti, il regime duro era necessario». La Di Gregorio non riesce ancora a capacitarsi di quei rinnovi, visto che lo scopo del 41 bis è quello di mantenere misure speciali nei confronti di chi è ancora pericoloso e quindi potenzialmente abile nel comunicare con l’esterno. «L’ultima istanza che feci era al tribunale di Milano, per chiedere che Provenzano fosse spostato dal regime duro dove era ricoverato all’ospedale San Paolo, a un reparto diverso per consentire ai parenti di poterlo salutare senza il vetro divisorio». La risposta è stata paradossale. «Il tribunale - spiega Di Gregorio - rispose che Provenzano era curato meglio al 41 bis; feci ricorso alla Cassazione che purtroppo confermò la motivazione». Alla luce di tutti questi dinieghi che si erano succeduti, l’avvocata Di Gregorio si dice soddisfatta delle sentenza che è giunta dalla Corte Europea. «Ripeto che non chiedevamo nessuna scarcerazione, nessuna richiesta dei domiciliari, ma semplicemente la revoca del 41 bis. Questa sentenza ci dà ragione, perché certifica che il Diritto è stato messo sotto i piedi».