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Congelato lo sciopero anm
Perché l’Associazione nazionale magistrati non sciopera più – almeno per il momento – contro la riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario? Martedì sera l’ipotesi di fermare i processi è stata congelata in attesa che a decidere sia l’Assemblea generale, convocata per il prossimo 30 aprile. Il Comitato direttivo centrale, due sere fa, ha approvato un documento che demanda a quell’organo di «deliberare su ogni efficace forma di protesta, ivi compresa la proclamazione di una giornata di astensione dall’attività giudiziaria». Tra le iniziative messe in campo, anche la «notte bianca sulla riforma», che dovrà consistere in una serie di eventi serali da tenersi, in più giorni, negli uffici giudiziari capoluogo di distretto, all’insegna dell’informazione e del dibattito con avvocati, giornalisti, esponenti dell’accademia e della società civile. Eppure esattamente una settimana fa il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia aveva dichiarato a Repubblica che l’astensione era «ormai inevitabile». Che cosa è cambiato nel frattempo per far dire due giorni fa, allo stesso vertice dell’Anm, prima in conferenza stampa e poi nella riunione del “parlamentino”, che «prima di arrivare allo sciopero occorre cercare ostinatamente un dialogo con il Parlamento», pur sempre nel pieno rispetto degli organi deliberanti interni all’Anm? Un primo pensiero corre alla possibilità di un segnale arrivato dal Quirinale, di un invito a stemperare i toni: ma da quanto è stato possibile apprendere, non si è trattato di questo. È pur vero che il vicepresidente del Csm, David Ermini, intervistato mercoledì mattina dal Gr1, si è schierato contro la protesta: «Non credo che le forme di rottura servano, i compromessi si accettano: bisogna tutti lasciare qualcosa...». Ed è difficile pensare che il numero due di Palazzo dei Marescialli possa esprimere un pensiero dissonante da quello del presidente della Repubblica e del Csm, Sergio Mattarella. C’è poi un’altra possibilità, ma per spiegarla dobbiamo fare un passo indietro. La tensione intorno alla riforma del Csm, ma anche rispetto a tutte quelle che stanno interessando il settore della giustizia, si era impennata quando due settimane fa i magistrati di Busto Arsizio, Nola e Torre Annunziata avevano predisposto un documento, condiviso soprattutto da giovani toghe, intitolato «Facciamo presto». In poche ore aveva raccolto oltre 500 sottoscrizioni, allo scopo di rifiutare una riforma «dai contenuti tragici e che stravolgerà completamente e definitivamente l’assetto costituzionale». Cinquecento toghe su circa 9.000 iscritti all’Anm non sono molti ma si sono fatte sentire, e quindi ai vertici, da quanto ci spiegano fonti interne all’Anm, non è restato che farsi carico del malessere che proveniva dalla base, e alzare il livello dello scontro attraverso altisonanti comunicazioni alla stampa. Ma la prospettiva di uno sciopero è stata subito aspramente criticata da più fronti. Giovanni Maria Flick, già ministro della Giustizia e presidente emerito della Corte costituzionale, al Foglio ha dichiarato: «La protesta dei magistrati mi sembra inopportuna nel contenuto, nel metodo e nelle ragioni». Sempre dal Foglio, l’ex giudice costituzionale Sabino Cassese ha definito lo sciopero delle toghe contro la riforma del Csm un atto «da autolesionisti, sarebbe la prova che le toghe amano farsi del male». All’HuffPost invece l’ex magistrato Carlo Nordio ha detto: «La riforma è insufficiente, ma meglio di nulla, e tocca il potere dell’Anm, per questo minacciano lo sciopero. Ed è inaccettabile». Il professor Giovanni Guzzetta su questo giornale si è chiesto se lo sciopero «politico» dell’Anm sia davvero legittimo in una cornice costituzionale. Dai partiti sono arrivate, naturalmente, pesanti critiche: Maurizio Gasparri di Forza Italia ha parlato addirittura di «un’ulteriore offesa alla democrazia e ad organi istituzionali», dal «tenore eversivo». Il vicesegretario di Azione Enrico Costa ha ipotizzato che lo sciopero potesse trasformarsi in un «boomerang» per la magistratura. Ed è la stessa conclusione a cui è giunto il sondaggista Renato Mannheimer, per il quale «se i magistrati dovessero scioperare, la loro credibilità agli occhi degli italiani potrebbe precipitare ancora di più». Con il rafforzarsi di questo scenario critico, probabilmente i vertici dell’Anm sono stati spinti ad abbandonare le velleità della pancia, della base, e a riprendere il percorso di un dialogo che conduca lontano dallo scontro istituzionale tra potere giudiziario e legislativo. Avrebbe prevalso dunque il buonsenso, con la speranza di poter ottenere qualche modifica. E un primo segnale di risposta all’insofferenza delle toghe si è manifestato, se proprio ieri la maggioranza alla Camera si è accordata per eliminare il sorteggio dei collegi per l’elezione del Csm. Certo, sarà difficile che si metta mano per esempio al fascicolo delle performance, tanto criticato dal “sindacato” delle toghe. E poi c’è il fattore tempo: l’Anm spera di giocarsi la partita al Senato, ma questo significherebbe mettere a rischio, nel ritorno del testo alla Camera, la possibilità di eleggere il Csm con una nuova legge. A proposito di quest’ultimo punto, leggiamo sempre nel documento del Cdc: la riforma «esaspera la competizione fra i colleghi e lascia immutati gli ambiti di amplissima discrezionalità consiliare, che si prestano a quelle distorsioni per logiche di potere e di appartenenza correntizia del recente passato. Avremmo avuto bisogno di una riforma elettorale del Csm che riducesse il peso delle correnti». Non ravvisate un paradosso, in queste espressioni? Proviamo a spiegarlo: l’organo deliberante dell’Anm composto da rappresentanti delle varie correnti si oppone alla riforma di mediazione Cartabia perché non mette un freno alle distorsioni delle correnti. Ma una brutta e/o blanda riforma può davvero costituire un alibi per non responsabilizzarsi internamente a prescindere dai risultati ottenuti in Parlamento? Forse sarebbe stato auspicabile, per dimostrare la piena assunzione di responsabilità della crisi che ha investito la magistratura, che questi esponenti dei gruppi associativi avessero piuttosto detto: «Siamo noi le correnti, da noi parte il cambiamento e nelle prossime elezioni del Csm daremo prova che abbiamo davvero preso coscienza degli errori, con una inversione netta rispetto al passato». Non esistono due realtà distinte, le correnti non sono qualcosa di alieno rispetto a chi oggi si fa portavoce del malessere generale delle toghe e imputa alla politica una riforma che intimorisce i magistrati anziché combattere il correntismo. Se la politica non è stata in grado di rispondere ai bisogni riformatori proposti dalla magistratura – anche se dalla conferenza stampa in alcuni momenti ci è parso che a prevalere fosse il negazionismo di alcune reali criticità – la magistratura ha davvero la possibilità di dimostrare che il cambiamento parte dall’interno.