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Alle «distorsioni» del «processo mediatico» Giovanni Canzio ha dedicato la relazione introduttiva dell’anno giudiziario. Le Camere penali, in una nota, si dicono «confortate» dalla sua analisi. Ma gli strumenti per limitare il fenomeno sono impalpabili: pubbblicare atti segreti, intercettazioni comprese, è un reato penale, ma può essere cancellato con un versamento di appena 129 euro.
Con una nota firmata dalla giunta e dal proprio “Osservatorio sull’informazione giudiziaria”, l’Unione Camere penali afferma che «l’analisi» proposta dal presidente della Cassazione Giovanni Canzio all’inaugurazione dell’anno giudiziario «conforta nella sua adeguatezza» e che nello stesso tempo «preoccupa per il suo significato». Il fenomeno della «informazione giudiziaria distorta», secondo i penalisti, non va esaminato «solo per i suoi aspetti mediatici e sociologici, ma anche per gli effetti perversi che può determinare nelle concrete dinamiche processuali». Vuol dire che, se si «ribalta la presunzione di innocenza», per citare Canzio, si rischia di incidere «sugli esiti del processo» e di «condizionare il giudice». Ma il tono del documento dell’Ucpi è un misto di soddisfazione per le parole del “primo magistrato d’Italia” e di preoccupazione di fronte a meccanismi che non sarà mai possibile controllare del tutto. Non a caso il comunicato conclude con l’appello a una «riflessione collettiva anche da parte di chi ha il nobile compito di fare informazione».
Ancora, a proposito di intercettazioni, lo stesso ministro della Giustizia Andrea Orlando non si è mai spinto oltre una legge delega che dovrebbe regolare gli “ascolti” nella fase delle indagini appena più stringente rispetto alle norme già in vigore. E non a caso sempre il guardasigilli ha spesso detto che, prima di esercitare la delega, avrebbe convocato una sorta di stati generali dell’informazione giudiziaria, per fare in modo che dall’incontro uscisse un richiamo alla responsabilità dei media rispetto al destino di chi è ancora solo indagato.
Che rispetto a una materia come quella delle intercettazioni e del “processo mediatico” ci sia dunque una sensazione di sostanziale impotenza, è evidente. Dipende anche dagli strumenti normativi, piuttosto squilibrati. Il reato di rivelazione del segreto d’ufficio è punito con una certa severità: reclusione da 6 mesi a 3 anni. Ma il suo accertamento di fatto avviene solo in casi estremi e comunque mai nei confronti di un magistrato inquirente. La pubblicazione di atti giudiziari è ovviamente un reato meno grave, innanzitutto perché, a differenza dell’altro, non è attribuito al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio. Si può addirittura affermare che si tratti di un non- reato. I motivi sono due. Prima di tutto la norma, prevista all’articolo 684 del codice penale, non è applicata praticamente mai. Non si ricorda di un pm che abbia aperto un fascicolo a carico di un giornalista ritenuto colpevole di aver reso pubblico un atto giudiziario, che si tratti di intercettazioni o altro. E sarebbe d’altronde bizzarro se un pm perdesse tempo dietro affari del genere. Si tratta sì di un reato, punito però con un’ammenda che va da 51 a 258 euro. Non solo: si tratta di un procedimento speciale e “oblabile”. Chi commette quel reato può estinguerlo con una oblazione, cioè un versamento, pari alla metà del massimo della pena: con 129 euro dunque. Con una somma inferiore al costo di una multa per divieto di sosta con rimozione, si può in un certo senso “comprare” un’intercettazione e pubblicarla.
«Comprare è un’espressione assai forzata», osserva l’avvocato Giorgio Varano, responsabile Comunicazione dell’Unione Camere penali, «ma il fatto è che persino l’articolo del codice di procedura penale in cui sono elencati gli atti giudiziari coperti da segreto, il 114, è stato riletto dalle sezioni unite civili in modo vago: le sentenze della suprema corte hanno rimesso all’apprezzamento del giudice di merito ‘ la portata della violazione, sotto il profilo della limitatezza e della marginalità della riproduzione testuale di un processuale’». È già poco chiaro cosa debba essere considerato segreto e perciò impubblicabile. Se poi, quand’anche si accertasse il reato, lo si può cancellare con 129 euro, è chiaro che il reato non c’è. Con quella somma la fedina penale del giornalista torna immacolata, scompare qualunque tipo di fastidio. E questo spiega appunto perché, nel recente passato, le intercettazioni ancora da considerarsi segrete in base all’articolo 114, hanno inondato giornali e siti web. Violare la legge costa pochissimo, in proporzione al danno subito da chi, colpevole o innocente, vede data in pasto all’opinione pubblica la propria esistenza. «La modesta entità della sanzione penale è legata all’esimente del diritto di cronaca», ricorda Varano, «e noi stessi, come Unione Camere penali, abbiamo più di una volta espresso solidarietà nei confronti dei giornalisti il cui lavoro è stato oggetto di impropri tentativi di limitazione da parte delle Procure». Vero anche che in casi estremi la pubblicazione di atti segreti potrebbe rimandare a una vera e propria rivelazione di segreti d’ufficio da parte del pm o della polizia giudiziaria. Ma il giornalista potrebbe avvalersi del diritto alla tutela delle fonti, e comunque difficilmente si troverebbe un magistrato così ostinato da perseguire un collega per una violazione simile. Come riconosce anche l’avvocato Varano, il diritto all’informazione è sacro. Ma sanzioni così impalpabili spiegano bene come sia quasi impossibile mettere ordine in quel “processo mediatico” a cui Canzio ha dedicato addirittura la sua relazione inaugurale.