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Da un paio d’anni almeno il fenomeno si è attenuato. Visibilmente. Ma per un decennio o quasi le intercettazioni sono rifluite con sconcertante regolarità dal perimetro investigativo ai media. E per tutto quel lungo periodo ci si è chiesti, con un po’ di pigrizia, come potesse accadere. Ai vertici della magistratura inquirente circola un non detto, che fatica a sdoganarsi: il problema era anche, se non soprattutto, in alcune delle aziende che forniscono gli apparati. Ora tutto questo complicato universo di server e tele-assistenza da remoto sta per essere messo in ordine. L’emendamento al ddl penale presentato dal ministro della Giustizia Andrea Orlando punta a questo: definire criteri nelle spese per gli ascolti che garantiscano anche livelli elevati di sicurezza. Con una postilla non trascurabile: risparmiare circa 80 milioni di euro in 3 anni.
Ecco il senso delle norme ora all’esame di Palazzo Madama. Quando martedì scorso la ministra per i Rapporti con il Parlamento Anna Finocchiaro ha annunciato il ritorno del ddl penale in commissione Giustizia, il retropensiero dei senatori è stato di tutt’altro segno: affossano definitivamente la riforma del processo. Quell’emendamento su “norme per la razionalizzazione dei costi delle intercettazioni” ha destato sospetti. E invece si tratta di una iniziativa per la quale vale la pena di tenere il ddl ai box ancora un paio di settimane. Il testo non è altro che lo sviluppo normativo del tavolo di lavoro coordinato da Giovanni Melillo, capo di Gabinetto del guardasigilli. Vi hanno partecipato procura generale della Cassazione, Csm, Procura nazionale antimafia e una delegazione di procuratori della Repubblica di cui hanno fatto parte Giuseppe Pignatone ( Roma), Armando Spataro ( Torino), Giovanni Colangelo ( Napoli, in pensione da pochi giorni) e Dino Petralia (” vice” di Franco Lo Voi a Palermo).
Nei mesi scorsi era stato il Corriere della Sera a riferire di una circolare inviata da via Arenula a tutte e 140 le Procure ordinarie d’Italia, in cui tra l’altro si preannunciava lo schema normativo: sarà prevista, comunicava il ministero della Giustizia, la «obbligatorietà di trasmissione cifrata delle comunicazioni intercettate». E così stabilisce l’emendamento, in una chiave che preserva economicità e sicurezza: le società private che forniscono i server alle Procure saranno pagate secondo una tariffazione che riconosce compensi solo per la trasmissione cifrata dei dati. In questo modo le aziende fornitrici vengono di fatto obbligate a rispettare determinati standard di protezione, «in modo trasparente e uniforme». Le regole si applicheranno ai contratti stipulati da tutti gli uffici giudiziari. Fornitura di server e assistenza da remoto dovranno rispettare canoni prestabiliti. Si dovrebbero evitare così casi estremi come quello emerso nei mesi scorsi da un’indagine in seguito a un controllo ordinato dalla Procura di Trieste presso la società lombarda che le forniva i sistemi per gli ascolti: si scoprì che tabulati e registrazioni ordinati da decine di Procure erano salvati anche sul pc di un’impiegata della ditta fornitrice.
Si arriverà a un risparmio di 80 milioni in 3 anni anche grazie all’introduzione di “costi standard”: le prestazioni assicurate dai privati dovranno essere ricompensate secondo parametri uniformi in tutta Italia. Oggi non è così. Al ministero della Giustizia sanno bene che le nuove norme non faranno esultare le grandi ditte. Ma anche che si tratta di un’occasione irripetibile per garantire trasparenza e uniformità al sistema degli ascolti. Obiettivo fissato dall’ormai lontana Finanziaria 2008. In tutti questi anni i privati sono diventati i “padroni di fatto” dello strumento investigativo. E spesso hanno custodito, indebitamente, dati e registrazioni. Con le nuove regole non dovrebbe accadere più. Si verrebbe anche incontro alle raccomandazioni del Garante della privacy sulla necessità di proteggere in modo più affidabile i dati personali. E certamente si offre al Parlamento un’altra buona ragione, forse decisiva, per approvare il tormentato ddl sul processo penale.