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La questione nuova, delle più delicate, è l’uso dei social media da parte dei magistrati; strumenti che se non amministrati con prudenza e discrezione, possono offuscare la credibilità e il prestigio della funzione giudiziaria», esordisce così il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, intervenendo all’inaugurazione dell’anno formativo della Scuola superiore della magistratura di Scandicci. Il richiamo del Capo dello Stato, che è anche presidente del Consiglio superiore della magistratura, giunge dopo diversi casi di “incontinenza” comunicativa sui social da parte di alcune toghe. Si ricorderà il pm di Imperia che faceva apprezzamenti sull’aspetto fisico di Gabriel Garko o quello di Trani che, dopo il flop dell’inchiesta sulle agenzie di rating, si sfogava con i suoi follower affermando di «essere stato lasciato solo». Oppure il giudice di Trieste che sparava a zero contro la dem Debora Serracchiani ritenuta «un errore della storia», fino al presidente del Tribunale di Bologna che etichettava come «repubblichini» chi fosse stato favorevole all’ultimo referendum costituzionale.
Nella scorsa consiliatura del Csm, il laico di Forza Italia Pierantonio Zanettin aveva chiesto al Comitato di presidenza di Palazzo dei Marescialli l’apertura di una pratica per «individuare delle linee guida volte a garantire che la comunicazione sui social network da parte dei magistrati avvenga nel rispetto dei principi deontologici e con forme e modalità tali da non arrecare pregiudizio alla credibilità della funzione».
Per Zanettin, «l’uso disinvolto di Facebook, se non è rispettoso dei criteri di equilibrio e di misura incide negativamente sulla credibilità del magistrato coinvolto e della magistratura nel suo complesso»
L’allora vice presidente Giovanni Legnini aveva immediatamente condiviso l’urgenza del tema. «Abbiamo registrato episodi molto discutibili, capaci di ledere l'immagine e la percezione di imparzialità dei magistrati», aveva detto. A dare manforte a Legnini e Zanettin anche il presidente dell’Anm, Eugenio Abamonte, secondo cui era «opportuno per i magistrati del training sull’uso dei social network. Puntiamo ad un aggiornamento del nostro Codice deontologico che già impegna i magistrati ad attenersi ad alcune regole comportamentali nella comunicazione pubblica. Nei contesti pubblici, dovremmo sempre muoverci come se avessimo la toga sulle spalle, quindi con la stessa attenzione che dovrebbe caratterizzare l'esercizio della funzione di magistrato». Un impegno che venne fatto proprio dal Comitato direttivo dell’Anm con l’avvio di una riscrittura del Codice di condotta per i magistrati social, attrezzandoli contro le insidie di Facebook ma anche delle mailing list e delle chat. Dopo mesi di discussione, però, si decise di non modificare lo statuto e tantomeno il codice etico, lasciando totale libertà di utilizzo dei social. Nel capitolo “Rapporti con la stampa e i mezzi di comunicazione di massa”, dove è sancito il principio «di piena libertà di manifestazione del pensiero», invitando il magistrato ad ispirarsi «a criteri di equilibrio, dignità e misura nel rilasciare dichiarazioni ed interviste ai giornali e agli altri mezzi di comunicazione di massa», doveva essere aggiunto che «il magistrato utilizza i social network e gli altri strumenti di comunicazione telematica consapevole del proprio ruolo professionale, astenendosi da comportamenti che possono ledere la credibilità della funzione giudiziaria e della magistratura nel suo complesso». La modifica venne quindi bocciata a maggioranza Dopo l’intervento di Mattarella, secondo cui non bisogna mai farsi «suggestionare dal clamore mediatico intorno ai processi, e non deve farsi condizionare da spinte emotive evocate da un presunto e indistinto sentimento popolare», forse qualcosa però cambierà.