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Non è morta una persona qualunque, ma un uomo che era stato sentito all’epoca delle indagini scaturite dal dossier mafia appalti, dove il suo nome compare nel decreto di archiviazione a firma di Gilda Loforti in merito a una querela vicendevole tra i Ros e la procura di Palermo. Parliamo di Giuseppe Siino, figlio di Angelo, l’uomo definito il “ministro dei lavori pubblici” dei corleonesi, tratto in arresto nel ’ 91, grazie proprio al dossier mafia appalti redatto dai Ros e consegnato a Giovanni Falcone che poi dovette abbandonarlo per trasferirsi nel ministero della Giustizia.
Emergono dettagli inquietanti dietro la morte di Giuseppe Siino. L’uomo era sotto protezione, dopo la collaborazione del padre con la giustizia, e viveva in una località protetta dell'Alta Padovana con un nuovo nome. Il fine settimana scorso, la tragedia. Dai primi racconti sarebbe stato dipinto come un uomo violento, che avrebbe picchiato la moglie per anni. Secondo indiscrezioni, venerdì, il giorno prima della tragedia, il 47enne avrebbe scoperto una relazione extraconiugale della moglie. La reazione sarebbe stata molto violenta, tanto che la moglie avrebbe chiesto alla suocera di raggiungerli per passare qualche giorno a casa loro. Al culmine dell'ennesima lite l'uomo avrebbe brutalmente picchiato la moglie e lei, preso in braccio il figlioletto, è scappata dai vicini chiedendo di chiamare i carabinieri per denunciarlo. Giuseppe Siino a quel punto, ritrovatosi solo, avrebbe preso una pistola e si sarebbe sparato un colpo in testa. Lo hanno ritrovato così, morto dissanguato.
Secondo quanto riferito da Il giornale di Sicilia, al loro arrivo nell’abitazione i carabinieri non hanno potuto fare altro che constatare il suicidio e il pm avrebbe ritenuto di non inviare neppure il medico legale sul posto.
Sono emersi, però, due particolari che rendono la vicenda ingarbugliata. La moglie avrebbe smentito di aver subito violenze, come detto in precedenza, e quindi ancora non è chiaro cosa sia davvero accaduto. A questo si aggiunge un altro elemento. I carabinieri hanno scoperto che in casa erano custodite ben 104 armi che sarebbero intestate alla moglie. Come mai un uomo sotto protezione, in una piccola località, era riuscito a detenere un vero e proprio arsenale? Ora i carabinieri indagano per determinarne la provenienza.
Come detto Giuseppe Siino non era un uomo qualunque, ma figlio di Angelo che, nonostante non sia stato un mafioso vero e proprio, fungeva comunque da collettore tra la mafia di Riina e gli imprenditori per garantire affari con gli appalti.
Il figlio Giuseppe è stato un testimone importante e preso in considerazione dall’allora Gip di Caltanissetta Gilda Loforti. Ma andiamo con ordine prima di arrivare alla sua testimonianza. Come detto, Angelo Siino compariva nel famoso dossier mafia appalti e fu poi tratto in arresto il 9 luglio 1991, in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare emessa il 7 luglio ’ 91. Si trattava del mandato di catturanei confronti di Siino e i coimputati Serafino Morici, Giuseppe Li Pera, Cataldo Farinella e Alfredo Falletta con la contestazione del reato di associazione mafiosa diretta all’illecita manipolazione degli appalti in Sicilia. Siino, interrogato due giorni dopo l’arresto, ammetteva le sue responsabilità. Successivamente iniziava ad avere dei colloqui coi Ros, anche se la collaborazione con la Procura di Palermo risalirà a qualche anno dopo. È in questi colloqui coi Ros che Siino fece delle dichiarazioni anche contro i magistrati palermitani, dichiarazioni che poi ritrattò nel corso di un procedimento che si svolse davanti alla Gip nisseno Loforti. A Caltanissetta furono riuniti i due procedimenti: per corruzione uno e per calunnia l’altro, tra di loro evidentemente connessi perché vedevano una parte della Procura palermitana da un lato e dell’ufficiale dei Ros Giuseppe De Donno e Siino dall’altro. È in questa sede che la Gip Loforti, decidendo per l’archiviazione di tutte le posizioni, valutava le fonti di prova per arrivare a stabilire che «Siino non fu certo indotto dal De Donno a muovere false accuse in danno dei magistrati».
Tra le prove raccolte ci furono oltre che le dichiarazioni rese dall’avvocato di Siino, che partecipò ad alcuni colloqui, anche quella del figlio del collaboratore: proprio Giuseppe Siino che si sarebbe ucciso pochi giorni fa. Loforti pur ammettendo che di per sé l’assenza di riscontri sarebbe stata sufficiente «ad escludere l’ipotesi che le dichiarazioni del Siino siano state frutto di indebite pressioni esercitate dall’Ufficiale ( ndr De Donno)», include nell’ordinanza altre risultanze processuali.
Tra queste si leggono le dichiarazioni di Giuseppe Siino, figlio del collaboratore: scrive la Gip che «dal canto suo, pur riferendo dei reiterati tentativi operati dal De Donno, attraverso la di lui madre, per indurre il padre a collaborare con l’A. G., mai ha narrato di pressioni o affermazioni di carattere intimidatorio, limitandosi a ribadire che il De Donno rappresentava che erano possibili svariate iniziative giudiziarie in loro danno come ad esempio il sequestro dei beni, e che quella inchiesta ( “mafia - appalti”) avrebbe potuto prendere una piega più incisiva, se il Siino avesse riferito ciò che sapeva sui politici, sui magistrati e sugli avvocati collusi (…)».