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Non si vuol dubitare, per carità, che dietro il profluvio di articoli su Imane Fadil ci fosse anche la pietà per la tragedia. Non si vuole insinuare il sospetto di una cinica ed esclusiva ossessione antiberlusconiana, nel mirabile impegno che i media dedicano in queste ore ai dettagli dell’indagine sulla morte della donna. Non si vuol mettere in discussione questo. O un po’ forse sì. Perché se davvero nel sistema dell’informazione ci fossero solo anime pie pronte a commuoversi per la sciagura di un’ex modella morta dopo un mese di agonia, forse forse si dovrebbe anche scrivere qualcosa sul fatto che a Genova un giudice ha deciso di archiviare il procedimento aperto nei confronti di centinaia di persone indagate per aver offeso sui social Karima El Marough, conosciuta come Ruby, e che dunque, secondo il magistrato, riempire una donna di umilianti volgarità non è reato.
E sì, perché la notizia sui giornali di ieri era introvabile. Eppure, magari solo per associazione di idee, per una mera forza d’inerzia nella costruzione dell’agenda setting, si poteva anche dare peso a un fatto di cronaca giudiziaria riferito invece solo dall’edizione genovese di Repubblica.
Con l’ordinanza depositata due giorni fa il gup del Tribunale di Genova Riccardo Ghio ha respinto l’atto con cui Karima si era opposta all’archiviazione dell’indagine aperta già da due anni, dopo i suoi esposti, nei confronti di 178 persone, che a partire dal 2011 l’hanno tempestata di commenti social definiti «scurrili» e «volgari» dallo stesso magistrato.
In alcuni casi si trattava di risposte ignobili ai tentativi di Karima di difendere, con i suoi post, la propria dignità. I più violenti arrivavano quando la ragazza osava scrivere su Facebook di non essere una prostituta. Oscenità da suburbio postate anche da professionisti, che però il gup ha considerato espressione di un pubblico dibattito, e anzi della «profonda indignazione per la manipolazione e la negazione di condotte giudizialmente accertate». Non doveva osare difendersi, Karima.
Un’ordinanza molto discutibile contro cui, nel merito, non è possibile alcuna ulteriore impugnazione. Interpellato dal Dubbio, il difensore della donna, Salvatore Bottiglieri, si limita a dire: «Valuteremo azioni civili contro questi signori che hanno pubblicato frasi pesanti e offensive. Nessuno può permettersi di offendere la dignità di una persona». In effetti sembrava un principio difficile da negare. «Non è accettabile», aggiunge l’avvocato, «che quelle frasi siano ricondotte al diritto di critica». Perché secondo il gup di Genova siamo appunto di fronte al semplice esercizio del «diritto di critica».
Tra l’altro, la sentenza a cui fa riferimento il giudice di Genova è stata riformata dalla Cassazione, che ha assolto Silvio Berlusconi. Secondo la Suprema corte, nel rapporto tra l’ex premier e Karima non può esserci un’attività di prostituzione in senso proprio, dal momento che all’epoca dei fatti non era nota la minore età della ragazza ed è per questo caduta l’accusa di prostituzione minorile.
Ma anche al di là di un simile dettaglio, andrebbe ricordato il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui anche dinanzi a fatti veri non si possono divulgare altri aspetti inerenti quelle vicende che possano assumere una residua valenza offensiva, perché altrimenti la diffamazione sussiste comunque. È in altre parole quell’obbligo di continenza a cui gli stessi giornalisti dovrebbero attenersi, ma che a questo punto sui social appare sdoganato, quanto meno se si tratta di donne che hanno avuto a che fare con Berlusconi.
Nello specifico l’uragano di oscenità scaraventate addosso a Ruby ha avuto proporzioni pazzesche considerato che a postare offese sono state diverse migliaia di haters: gli indagati appena prosciolti erano “solo” 178 perché i loro sono gli unici profili dall’identità accertata. Ancora, a proposito del «diritto di critica» viene, tra l’altro, da chiedersi: prostituirsi è cosa criticabile? E chi lo ha stabilito? E quale norma sancisce la licenza di biasimare, con parole «scurrili», chi si prostituisce? Con questa decisione del Tribunale di Genova sembra riproporsi un caso del tutto analogo a quelli che hanno riempito le pagine dei giornali nelle ultime settimane, relativi alle sentenze su violenze di genere “attenuate” da «tempeste emotive» o «discontrollo di impulsi». Ma non è questo il punto. Il discorso è che se in base a un’ordinanza «offendere volgarmente Ruby non è reato», si è di fronte a una notizia.
E forse gli organi di informazione in grado di seguire in modo capillare la cronaca giudiziaria potevano dedicare un po’ di spazio alla ragazza. Qualche rigo in più sarebbe stato lecito attendersi dalla stessa Repubblica, che ha dato più di tutti spazio alla tragedia di Imane Fadil e ai sospetti di un suo avvelenamento riconducibile a Berlusconi. Verrebbe da dire che queste ragazze, la povera Imane e la stessa Ruby, siano state “usate” innanzitutto dal sistema mediatico. Trattate appunto come oggetti, neppure a pagamento. Rappresentate nella tragedia o nello squallore della loro esistenza finché serve a distruggere l’immagine del solito Berlusconi. Ignorate se le ricoprono di insulti osceni e un giudice decide che è giusto. Che è diritto di critica.