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Poco affrontato il discorso trattamentale e quindi rieducativo dei detenuti, appena toccata la problematica del sistema sanitario e quindi del diritto alla salute delle persone recluse, nessun accenno alle vicende riguardante i presunti pestaggi che sarebbero avvenuti nei diversi penitenziari. Parliamo della riunione della commissione Giustizia del Senato, dedicata all’indagine conoscitiva sulle condizioni dei soggetti sottoposti a regime carcerario italiano. Due ore e mezzo è stato il tempo dedicato dal ministro Alfonso Bonafede, rispondendo anche alle domande dei membri della commissione. Ma quasi la totalità del tempo che il guardasigilli vi ha dedicato – anche a causa degli interventi di diversi senatori – è stato concentrato per chiarire il discorso “scarcerazioni”. Parliamo delle polemiche riguardanti i provvedimenti di detenzione domiciliare – contemplata dal nostro ordinamento – per gravi motivi di salute concessi a diverse centinaia di persone recluse per reati di mafia. Su 500, si è poi scoperto che solo meno della metà erano stati “scarcerati” per motivi legati all’emergenza Covid (erano malati e il virus sarebbe stato mortale, come in effetti è accaduto con alcuni detenuti già pieni di patologie gravi), mentre il resto era una detenzione domiciliare per assoluta incompatibilità con l’ambiente carcerario.
L’intervento più duro, e anche sintomatico di una certa cultura dietrologica, è stato quello del senatore Mario Giarrusso. Ha parlato di trattativa, di magistrati di sorveglianza che non avrebbero fatto correttamente il loro dovere, di liberazione dei mafiosi in cambio di pace nelle carceri. Tutte questioni sviscerate più volte, ma evidentemente non è bastato. Non è l’unico senatore. In commissione è intervenuto anche il leghista Simone Pillon, il quale ha fatto da eco a Giarrusso sottolineando che quelle “scarcerazioni” sono state qualcosa di poco chiaro. Diversi interventi sono stati in quella direzione. Dal tenore delle domande, più che una indagine conoscitiva è sembrato un comizio. E a dirlo è stata la senatrice Anna Rossomando del Pd. È intervenuta sottolineando che molti senatori presenti sono avvocati come lei e ha trovato singolare il fatto che ci siano stati interventi poco conformi alla sede istituzionale, con argomentazioni non basate sulla conoscenza dei codici e articoli del nostro ordinamento penitenziario. A farlo notare è stato anche il senatore Giuseppe Cucca, di recente passato a Italia Viva, il quale ha cercato di correggere diverse inesattezze poste dagli altri parlamentari. Cucca ha ricordato, ad esempio, il fatto che i detenuti over 70 non sono solo mafiosi ( il riferimento è alle polemiche della famosa circolare del Dap), ma ce ne sono tanti che – nonostante la norma sulla detenzione domiciliare parli chiaro – rimangono in carcere anche a 80 anni. Il senatore Cucca è anche stato uno dei pochi a chiedere qualcosa in più, come ad esempio la richiesta di ampliare la giustizia riparativa che era contemplata nella riforma originaria dell’ordinamento penitenziario. Riforma, ricordiamo, approvata a metà. Altro intervento fuori dal coro è stato quello della senatrice del Pd Monica Cirinnà, la quale ha evidenziato le problematiche delle detenute trans che hanno difficoltà a proseguire la cura ormonale in carcere.
Ma, come detto, la grande maggioranza degli interventi sono stati tutti finalizzate al discorso “sicurezza” e su improbabili forme di lassismo. Lo stesso ministro Bonafede, alla fine dell’intervento ha tuonato: «Il sistema penitenziario è stato trascurato per decenni, la pandemia ha messo in crisi tutti i luoghi chiusi e tutte le misure intraprese. Un focolaio in carcere, sarebbe stato una apocalisse. Per questo siamo intervenuti per evitare l’irreparabile». Il riferimento è al decreto cura Italia, che tra l’altro ha inciso poco sulla diminuzione del sovraffollamento ( gran parte è stata l’azione incisiva della magistratura di sorveglianza ad evitare, appunto, l’irreparabile), una misura che ha utilizzato già la normativa esistente: la concessione – ovviamente sempre a discrezione della magistratura – di una detenzione domiciliare provvisoria a quelle persone che hanno avuto una pena residua di massimo 18 mesi. Il ministro Bonafede, per rispondere soprattutto all’accusa del suo ex compagno di partito Giarrusso, ha specificato che da tale misura erano esclusi chi si era macchiato di gravi reati e chi aveva partecipato alle rivolte carcerarie. Ha voluto poi rimarcare un concetto che teoricamente dovrebbe essere scontato per tutti: «La magistratura, come recita la nostra Costituzione, deve essere autonoma e indipendente, quindi io non ho il potere di decidere quale detenuto può uscire o entrare nel carcere». Nello stesso tempo ha rivendicato i due decreti “antiscarcerazione”, sottolineando che grazie a questi sono potuti rientrare gran parte dei mafiosi, compresi i tre del 41 bis. Ma nessuno, in quella sede, ha ricordato che alcuni detenuti per mafia ( ad esempio Carmelo Terranova), vecchi e gravemente malati, una volta fatto ritorno in carcere grazie alla rivalutazione imposta dai decreti, sono poi deceduti. Ma, come detto, in commissione Giustizia, di queste indagini conoscitive finora non ce ne sono traccia.