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Le ultime vicende giudiziarie, con il crollo di diversi “teoremi dell’accusa”, hanno fatto tornare d’attualità la responsabilità “professionale” dei magistrati. Il tema, in particolare, è stato rilanciato questa settimana dall’Unione Camere penali con un invito al neo presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia, a partecipare al dibattito civile, politico e accademico per “restituire forza, credibilità e autorevolezza all’esercizio della giurisdizione nel nostro Paese. La credibilità della giurisdizione è vulnerata”, secondo i penalisti, “agli occhi dei cittadini dal sempre più frequente spettacolo di indagini che prima travolgono vite private e pubbliche, carriere politiche, equilibri democratici di governi nazionali e locali, per non dire di attività economiche e imprenditoriali, e che poi, a distanza di anni e ormai inutilmente, vengono riconosciute da giudici seri e indipendenti come del tutto infondate, senza che nessuno sia chiamato a renderne conto in alcun modo”, sottolinea la nota dell’Ucpi.
Come esempio, appunto, viene citata la recente assoluzione dell’ex presidente della Regione Calabria Mario Oliverio per la “riconosciuta insussistenza di quei fatti di reato la cui contestazione aveva però già irreversibilmente causato non solo la fine di una carriera politica, ma soprattutto - come in molti altri casi analoghi- la indebita alterazione delle dinamiche elettorali e dunque democratiche di una intera comunità territoriale”.
Fatta questa premessa i penalisti ricordano allora “l’urgente necessità di mettere mano con determinazione al tema della responsabilità, e anzi ad oggi della irresponsabilità, del magistrato nell’ordinamento giudiziario italiano”.
Un dato merita di essere ricordato. Ed è quello relativo proprio alle valutazioni di professionalità dei magistrati. Le ultime statistiche disponibili, quelle del 2016, raccontano che il 99,30 percento delle toghe ha conseguito una valutazione positiva.
L’anno prima, nel 2015, la percentuale era stata di circa il 99,60 percento. Solo lo 0,20 percento aveva avuto un giudizio negativo. In pratica solo quelli sotto procedimento disciplinare. Numeri che avevano sollevato forti perplessità da parte dell’allora presidente della Corte di Cassazione Giovanni Canzio: “Io vado dicendo da moltissimo tempo che in un’organizzazione complessa, un potere dello Stato con migliaia e migliaia di magistrati, dove le valutazioni di professionalità sono positive per il 99.7 per cento, si evidenzia un deficit delle circolari in materia di valutazione di professionalità”, disse Canzio intervenendo al plenum del Csm nella scorsa consiliatura.
Non esiste infatti, ad oggi, alcun rapporto fra la valutazione di professionalità e i risultati dell’attività giudiziaria. Al punto che, proseguono i penalisti, non possono non essere segnalate le “inarrestabili carriere” e le “imperturbabili celebrazioni e autocelebrazioni mediatiche di magistrati che annoverano, come le implacabili statistiche raccontano senza appello, un numero di fallimenti delle proprie inchieste che sancirebbe esiti certamente pregiudizievoli in qualsivoglia altra attività professionale”. Di contro, sono “quotidianamente sanzionate dagli stessi giudici - come è giusto che sia carriere professionali di medici per interventi errati, di ingegneri per ponti mal costruiti, di avvocati per patrocini infedeli, di imprenditori per patrimoni dissipati. Un inaudito privilegio professionale, impensabile per ogni altro comune cittadino”, che per ora alcuna delle riforme all’esame del Parlamento, incluso il ddl sul Csm, prevede di eliminare.
Non è, ovviamente, il caso di generalizzare. I penalisti si riferiscono ai procedimenti che fin dall’inizio presentano “profili di ‘ accanimento investigativo’ o di ‘ incongruità logica’ che lo stesso giudice, di merito o di legittimità, abbia ritenuto doveroso evidenziare e stigmatizzare nel giudizio assolutorio, quando non addirittura già nella fase cautelare”. L’appello si conclude con un richiamo alla politica “ridotta a una funzione ancillare non della magistratura, ma di alcune Procure e anzi di alcuni procuratori della Repubblica, intimorita e resa imbelle dal ricatto politico- mediatico che iscrive tra i favoreggiatori della criminalità comune e politica chiunque ponga il problema della responsabilità del magistrato”. Una politica che non “può ostinarsi a non comprendere come una democrazia nella quale dei tre poteri su cui essa si fonda, uno e solo uno è irresponsabile, sia destinata alla rovina”. Sulla sfida lanciata dall’Ucpi il solo segnale finora registrato è nelle parole di Enrico Costa, il deputato di Azione che ha proposto il tema subito dopo il sì della Camera al rimborso delle spese legali agli assolti: “Ora va affrontato il nodo dei pm che vedono sistematicamente fallire le loro indagini”. Ma su questo, non sembrano esserci per ora, al di fuori dell’avvocatura, antenne sensibili.