Anche in campagna elettorale, tutti d’accordo con la norma sull’equo compenso e tutti pronti a mettervi mano in futuro, per estenderne la portata. Questo emerge dal convegno che si è tenuto ieri presso l’Ordine degli avvocati di Roma, moderato dal presidente Mauro Vaglio, nel quale si sono confrontati sulla giustizia i referenti dei principali partiti in corsa alle elezioni di marzo.

«Il principio è il rispetto della dignità dei professionisti e la tutela dei cittadini per una difesa di qualità», ha esordito il grillino Alfonso Bonafede, avvocato campano indicato come il potenziale nome per il ministero della Giustizia in caso di vittoria pentastellata. «Il Movimento 5 Stelle ha sostenuto l’equo compenso in Parlamento, in particolare nella battaglia contro le clausole vessatorie. In futuro bisognerà introdurre non i minimi tariffari, che danneggiano i giovani, ma un tariffario flessibile, derogabile entro alcuni paletti», ha spiegato, aggiungendo però una frecciata al governo Gentiloni, colpevole di «improvvisazione, perchè una norma così importante non può venire corretta in legge di Bilancio poche settimane dopo la sua approvazione». Sempre dai banchi dell’opposizione, anche Edmondo Cirielli di Fratelli d’Italia ha ammesso: «Abbiamo contrastato questo governo in materia di giustizia, soprattutto sulla sicurezza. Abbiamo invece votato a favore dell’equo compenso, perchè riconosciamo che sia stato un passaggio positivo». Dello stesso avviso anche il forzista Lucio Malan, che ha ribadito come «Forza Italia ha votato per l’equo compenso, un principio da estendere quanto più possibile, per restituire dignità ai professionisti». E Cirielli si è spinto ancora più in là: «Oltre all’equo compenso, vanno reintrodotti i minimi tariffari. Ritengo invece si dovesse evitare l’introduzione del capitale nella professione intellettuale», ha notato, riferendosi alla partecipazione dei soci di capitale nelle società di professionisti. L’equo compenso è stato approvato anche dalla Lega, con Nicola Molteni che ha sottolineato come «la giustizia è il tema che ha provocato più divisioni, ma l’equo compenso ha fatto eccezione. Tutti lo abbiamo sostenuto, perchè riporta al centro la tutela del professionisti, che rappresentano la spina dorsale per lo sviluppo del Paese». A incassare il merito della norma, l’avvocato e parlamentare del Pd David Ermini. «Approvare l’equo compenso è stato un successo, ma non basta. Io personalmente mi sono arrabbiato perchè la norma non comprendeva tra i clienti forti anche la pubblica amministrazione. Bisognerà in futuro fare ulteriori passi avanti, anche grazie alla convergenza non ideologica delle altre parti politiche», ha spiegato il responsabile giustizia dem, il quale ha aggiunto come «da avvocato e anche da parlamentare ero contrario all’abolizione dei minimi tariffari. Devono essere reintrodotti e non essere derogabili come propone Bonafede, perchè garanzia di dignità del professionista e tutela del cittadino». Con lui, in quanto parte della maggioranza di governo, anche il socialista Enrico Buemi, che però ha sottolineato come «l’equo compenso, pur provvedimento importante, sia comunque secondario rispetto alla necessità di risolvere la crisi del sistema giustizia». Accanto all’accordo sull’equo compenso, sui temi di giustizia i relatori si sono divisi. «Oggi siete tutti favorevoli ai minimi tariffari, ma avete governato tutti e mai li avete reintrodotti», ha attaccato Bonafede, che ha proposto la ricetta 5 Stelle per riformare la giustizia civile: «Contro un legislatore “azzeccagarbugli”, la parola d’ordine è semplificazione. Riduciamo il tutto a due riti, quello a cognizione piena e il rito del lavoro, abolendo la mediazione obbligatoria. Infine, per i casi particolari, si continui ad utilizzare il rito sommario del 702 bis. Basta atto di citazione, ogni rito deve essere introdotto con ricorso».

A difesa dei provvedimenti del governo, Ermini ha sottolineato che «per la giustizia si è sempre speso troppo poco, ma noi abbiamo invertito la tendenza e rotto il blocco delle assunzioni. Abbiamo fatto partire il processo civile telematico, ora bisogna assumere nuovi magistrati, ritornare all’unicità la giurisdizione, eliminando i troppi giudici speciali e lavorare per fortificare una giustizia di prossimità». E proprio su questo piano il leghista Molteni ha portato lo scontro: «La giustizia è afflitta dall’irragionevole durata del processo e la soppressione delle sedi distaccate, a cui noi eravamo contrari, ha peggiorato la situazione. Non si velocizza il sistema con la degiurisdizionalizzazione e alzando il costo del contributo unificato, perchè i cittadini hanno diritto a venire giudicati da un giudice e a non vedersi scaricate addosso le spese della giustizia». Dello stesso avviso Malan: «Servono investimenti e razionalizzazione dei costi, non si può pensare di scaricare tutto sui privati e sui professionisti. Su questo si sono perpetrati gli errori del governo Monti e della sua riforma della geografia giudiziaria». Del resto, ha rincarato Cirielli, «il governo ha fallito in materia di giustizia civile, proponendo solo riforme a costo zero e dunque inutili a risolvere i problemi in profondità» . Infine, la “coalizione” più inedita si è creata nella risposta secca in materia di separazione delle carriere dei magistrati: favorevoli Molteni ( Lega), Buemi ( Socialisti), Malan ( Forza Italia) ed Ermini ( Pd), contrari Bonafede ( M5S) e Cirielli ( Fratelli d’Italia).