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Non basta l’autosospensione. Lo scandalo di accordi e complotti che ha coinvolto pezzi del Csm ha un’unica conseguenza possibile: le dimissioni. Una richiesta ufficiale, quella formulata dal presidente dell'Anm Pasquale Grasso, che in apertura del comitato centrale prende una posizione ferma su quello che ha definito «uno dei più gravi momenti di crisi della magistratura della storia repubblicana» per i danni arrecati al Csm. «Chi avesse davvero partecipato a un tale sviamento della funzione – sottolinea – non potrebbe essere un mio rappresentante nell’organo di autogoverno dei magistrati. Dovrebbe seriamente pensare alle dimissioni. L’autosospensione non basta».
L’intervento di Grasso vuole, in primo luogo, smentire chi lo ha accusato di minimizzare, ma rappresenta anche un’assunzione di responsabilità, la volontà di parlare a nome di magistrati italiani, «Che meritano una rappresentazione di equilibrio, rigore intellettuale e serietà». La «fissazione» di Grasso si condensa in una parola, «Insieme» e in una locuzione, «La politica non è il male». Insieme perché non esistono, «come entità separate, i cittadini, i politici, i magistrati – oppure il popolo, la politica, la magistratura – perché siamo tutti, insieme, lo Stato». E la «Politica» non è il male, perché «è l’essenza della partecipazione democratica alla vita del Paese».
L’analisi di Grasso riguarda i rapporti tra politica e magistratura, che trovano come arena fondamentale il Csm. «Proprio la struttura della composizione di questo organo di rilevanza costituzionale, costituito di membri togati e di estrazione politica, sancisce la positività, la doverosità di un rapporto sano tra detti poteri», sottolinea Grasso. È quella, quindi, «la irrinunciabile e non modificabile sede decisionale degli esiti del confronto tra politica e magistratura in materia di autogoverno», ma anche «La sede del confronto stesso».
Le notizie di stampa raccontano «una cessione di sovranità», una compromissione dell’autogoverno, «oggetto di trattative, riunioni, accordi, confronti, posizionamento di pedine come su una scacchiera. Trattative che riguardavano la nomina dei dirigenti di uffici giudiziari. Condotte attuate da chi avrebbe avuto responsabilità di autogoverno insieme a soggetti, politici noti, estranei a compiti di autogoverno e finanche imputati di gravi reati da parte degli stessi uffici giudiziari di cui si sarebbe discusso».
Una storia che, se vera, necessita «Un fermo no», urlato, da parte dell’Anm. «Noi difendiamo il Consiglio superiore della magistratura - afferma Grasso - Noi difendiamo i magistrati. L’Anm rifiuta di considerare come normale una rete di relazioni esterna al Csm, soprattutto quando questa rete coinvolga soggetti imputati dalla procura della Repubblica della nomina del cui direttivo si parla, stando alle notizie riportate. La fisiologia dei rapporti tra consiglieri e politica, lo ripeto ancora, deve avvenire all’interno del Csm». Si dice arrabbiato e invita i colleghi a reagire insieme.
E soprattutto è il Csm a dover «reagire insieme ai giudici di tutti i giorni». Per questo motivo il presidente dell’Anm invita i colleghi «A richiamare il Consiglio, e i componenti del Consiglio, a reagire insieme a noi», condividendo con l’Anm «gli atti ostensibili dell’indagine» per valutare la situazione. «Io vi propongo di chiedere ai colleghi coinvolti di smentire, confermare, spiegare, distinguere», per poter reagire «In modo conforme alle condotte». E chi si è macchiato di tali comportamenti, afferma, deve dimettersi. Per «un cambio di passo» a difesa della indipendenza della magistratura.