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Il tempo è una dimensione particolare per chi è detenuto, e può accadere di sforare per pochi minuti quello massimo per proporre reclami. La Corte Costituzionale dovrà occuparsi proprio di questo. Il 30 ottobre scorso la Cassazione ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento agli articoli 3, 24, 27 e 111 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 30-bis, comma terzo, in relazione all'articolo 30-ter, comma 7, legge del 26 luglio 1975, numero 354 (Ordinamento penitenziario), nella parte in cui prevede che il termine per proporre reclamo avverso il provvedimento del magistrato di Sorveglianza in tema di permesso premio è pari a 24 ore.
Cosa è accaduto? Un detenuto aveva fatto ricorso per un rigetto alla sua richiesta del permesso premio, ma è stato dichiarato inammissibile. Il motivo? Il provvedimento di rigetto era stato comunicato il 13 novembre 2018 alle ore 8.16 e il reclamo era stato depositato il giorno successivo alle ore 8.44. Dunque ha sforato le 24 ore, quindi fuori tempo massimo come prevede l’articolo dell’ordinamento penitenziario.
Il detenuto ha fatto ricorso in Cassazione. Tra le argomentazioni, una è il fatto che il tribunale di Sorveglianza non ha svolto alcun accertamento in ordine alla possibilità del reclamante di presentare il reclamo in orario antecedente a quello delle ore 8,44 del giorno successivo a quello di notifica: se le celle sono chiuse fino alle ore 9,00 del mattino, orario dal quale iniziano le varie attività socio- ricreative, rieducative e lavorative, prima di quell'orario è impossibile uscire dalla cella e accedere a qualsivoglia altro locale dell'istituto senza apposita autorizzazione, quindi anche presentare reclamo.
La Corte suprema ha ritenuto la questione non manifestamente infondata. Nella sua ordinanza di rimessione, la Cassazione rilevato vari punti di incostituzionalità, tra le quali quelle in tema di violazione del diritto di difesa: viene sottolineato che bisogna considerare lo squilibrio che si realizza tra le opportunità di impugnazione riservate alla parte pubblica e al detenuto. Violerebbe anche l’articolo 24 della Costituzione laddove il termine di ventiquattro ore per la proposizione del reclamo si rivelerebbe incapace di assicurare alla parte, che intenda fare reclamo, di un tempo utile per articolare la sua difesa tecnica da sottoporre al Tribunale di sorveglianza con l’assistenza di un avvocato.
Osserva la Cassazione che per evitare il rischio di una pronuncia di inammissibilità il detenuto necessita dell'assistenza di un difensore, seppur non sia imposta per legge: il punto è che l'effettività della difesa viene compromessa proprio a causa della spiccata brevità del termine concesso per il reclamo. Da un lato il sistema consente all'interessato di richiedere l'intervento e l'assistenza della difesa tecnica, ma dall'altro non gli pone le condizioni per esercitarla.
Partendo da queste considerazioni, la Cassazione ha osservato che rispetto ad una precedente pronuncia, oggi esiste un riferimento normativo che consentirebbe alla Consulta di rideterminare essa stessa il termine rintracciandolo nell’ordinamento. Precisamente nel 1996 (sentenza 245) la Corte costituzionale aveva dichiarato inammissibile la stessa questione perché era impossibile «rintracciare nell'ordinamento una conclusione costituzionalmente obbligata», tale da consentire di porre rimedio alla brevità del termine «rideterminandolo essa stessa». È da dire che in questa pronuncia, la Consulta auspicò un rapido intervento legislativo per la fissazione di un nuovo termine capace di contemperare «la tutela del diritto di difesa con le ragioni di speditezza della procedura» : intervento che non ci fu, anche se nel frattempo è avvenuta una vera e propria «giurisdizionalizzazione del reclamo avverso gli atti dell'Amministrazione penitenziaria asseritamente lesivi di diritti» : si pensa all’articolo 35- bis dell'ordinamento penitenziario che ha previsto il termine di quindici giorni per la proposizione del reclamo contro la decisione del Magistrato di sorveglianza. È proprio questo termine di 15 giorni che potrebbe costituire un punto di riferimento.