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Molte incognite. A cominciare dal sovrapporsi di due date per la ripresa dell’attività giudiziaria. Da oggi riparte il decorso dei termini, sospesi dalla legge per il mese di agosto. Solo da giovedì riprende anche l’effettiva attività di udienza, almeno riguardo alla magistratura togata, visto che un decreto ministeriale ha fissato il periodo delle ferie per giudici e pm dal 27 luglio al 2 settembre. Ma non è certo il piccolo scarto temporale a creare apprensione fra gli operatori del diritto. Il vero enigma è l’impatto che il ritorno dei contagi avrà sul lavoro dei Tribunali. «Non mi sento di fare previsioni ottimistiche», dice per esempio Antonio Tafuri, presidente dell’Ordine degli avvocati di Napoli. In Campania, ricorda, «si registrano dati ormai peggiori che in Lombardia. Giovedì ci riuniremo con i vertici degli uffici giudiziari: come Ordine chiederemo l’impegno a chiarire innanzitutto le modalità d’accesso alle cancellerie, ancora subordinate a un troppo rigido sistema di prenotazioni telematiche. Ma il timore è che la ripresa effettiva delle udienze e dell’attività in generale resti un miraggio». D’altra parte proprio l’avvocatura insiste nel ricordare che la giurisdizione è un servizio essenziale per la vita civile al pari di altri che catalizzano l’attenzione, come la scuola. Il presidente dell’Unione Camere penali Gian Domenico Caiazza è tra i più preoccupati: «Non possiamo consentire che si confermi nella considerazione generale della pubblica opinione la marginalità del servizio Giustizia», ha scritto nella lettera inviata domenica scorsa alle 131 Camere penali territoriali italiane. «Il Paese ha maturato una idea talmente ancillare rispetto alla magistratura, una delega fiduciaria a tal punto incondizionata, da considerare il servizio giustizia questione sulla quale non vi è da discutere: se le cose vanno così, vorrà dire che così devono andare, e di più non si può pretendere», è l’analisi di Caiazza. A ciascun presidente ha chiesto di «monitorare con grande accuratezza ciò che accade nel Foro di appartenenza» e di «raccogliere dati, verificare quali cancellerie e segreterie hanno ripreso, quali no e in tale ultimo caso perché e con quali formali motivazioni. Ti invitiamo», si legge nella lettera trasmessa dall’Ucpi, «anche a monitorare se le udienze già fissate si celebrino regolarmente, e se rinviate con quali motivazioni e con quale entità». Caiazza ha chiesto ai penalisti di tutti i Fori d’Italia di «relazionare» sui dati raccolti entro sabato. «Le 131 Camere penali italiane sapranno raccontare alla pubblica opinione la verità e la straordinaria gravità di questo autentico scandalo che si sta consumando nel Paese: la deliberata, irresponsabile paralisi della giurisdizione».
Il punto è che, come ricorda sempre il leader dei penalisti, la modulazione dell’attività resta legata «all’arbitrio dei singoli uffici giudiziari, e soprattutto alle determinazioni dei sindacati del pubblico impiego». Il riferimento è all’uso massiccio dello smart working. Che però dovrebbe diradarsi, come sollecitato nella circolare diffusa già lo scorso 30 luglio dal dipartimento Affari di giustizia del ministero. Di fatto, come conferma Tafuri, «si è imposta la regola del lavoro agile per non più di un giorno a settimana sui 5 lavorativi». Ma resta appunto «l’incognita legata al tipo di attività che il personale è effettivamente chiamato a svolgere: la presenza fisica in ufficio di per sé non risolve lo stato di paralisi».
Certo è che da giovedì si potrà avere una risposta chiara. Il test di luglio resta poco attendibile. La decisione, introdotta con una modifica parlamentare al Dl Intercettazioni, di anticipare al 30 giugno la fine della “fase 2” nei Tribunali, si è tradotta in una falsa partenza. Quella modifica è entrata in Gazzetta ufficiale a fine giugno, quando cioè i magistrati avevano già fissato le udienze per l’autunno, e con una specifica disposizione erano stati “fatti salvi” i “provvedimenti” di rinvio già assunti dai giudici. Il flop di luglio dunque non fa testo. La vera portata del lockdown dei diritti è in quanto accadrà nelle prossime ore. In parte il risultato dipenderà dall’adozione delle “buone prassi” sollecitate dai presidenti di diversi Tribunali - come Roberto Bichi a Milano o Massimo Terzi a Torino - ma non sempre rispettate: a cominciare dalla previsione di fasce orarie rigorose per la chiamata dei processi. A Napoli il meccanismo non ha funzionato, per questo Tafuri porrà la questione al tavolo con i capi degli uffici, al pari della richiesta di celebrare le udienze anche al pomeriggio. Nell’avvocatura trova ampio consenso anche la stabilizzazione delle misure che, fino al 31 ottobre, consentono la celebrazione di alcune udienze civili da remoto e, soprattutto, con trattazione scritta, attraverso il deposito telematico di note di udienza. Il presidente dell’Unione nazionale Camere civili, Antonio de Notaristefani, si è espresso a favore di una cristallizzazione dello schema. «Molti colleghi sono d’accordo», conferma il presidente del Coa di Napoli Tafuri, «ma la condizione è che in capo al difensore resti la facoltà di chiedere la trattazione orale in tutti i casi in cui la ritiene necessaria».
Molti presidenti di Tribunale esaltano la regola dell’accesso alle cancellerie consentito solo previo appuntamento. Gli avvocati, a cominciare da quelli napoletani, vorrebbero che si introducesse almeno una minore rigidità nella corrispondenza fra le attività anticipate dall’avvocato nella pec di richiesta e le formalità che il professionista può poi svolgere con gli uffici. Ma l’incognita maggiore riguarda la possibile chiusura di intere sezioni o parti del Tribunale qualora fra i dipendenti, i magistrati o gli avvocati dovesse esserci un caso di contagio. Ad Ancona nei giorni scorsi è successo ma, viste le rarefatte presenze agostane, ce la si è potuta cavare con una sanificazione e con il temporaneo dirottamento delle udienze in Corte d’appello. Ma, come spiega all’Adn- Kronos il presidente del Coa di Roma Antonino Galletti, «soprattutto nei tribunali più complessi non c’è chiarezza», serve una «linea guida ministeriale», dice. Sembra di camminare sulle uova. Eppure la giustizia dovrebbe essere una priorità, non un’ipotesi residuale.