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Carlo Maria Romeo
Si trova ai domiciliari da luglio, dopo una carcerazione durata 18 mesi e terminata una volta stabilito in Tribunale che l’ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa era insussistente. Ma ora l’avvocato del foro di Torino Carlo Maria Romeo, 62enne di origini calabresi, ha deciso di “sacrificare” il procedimento in corso per tornare in libertà pur di affermare un principio di diritto. E per farlo ha autorizzato i suoi difensori - Oreste Romeo e Stefania Nubile - a sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 34 comma II del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l’incompatibilità alla funzione di giudice del Riesame del gip che abbia pronunciato il decreto di autorizzazione o proroga delle intercettazioni, per contrasto con gli articoli 3, 24, 25, 27 e 101 della Costituzione. Romeo è stato condannato a 4 anni e 6 mesi per tentata estorsione e per aver fatto da intermediario di una cessione di 500 grammi di cocaina tra due suoi clienti l'avvocato nell’ambito dell’inchiesta antimafia “Geenna”, reati per i quali si è sempre dichiarato innocente. Dallo scorso 23 luglio il penalista si trova ai domiciliari, dai quali si è rivolto al Tribunale della Libertà di Torino per ottenere la piena scarcerazione. Ma il presidente del Collegio feriale designato a trattare la questione - la giudice Loretta Bianco - ha in precedenza firmato come Gip il decreto di proroga di autorizzazione ad operazioni di intercettazione nel medesimo procedimento penale avviato nei confronti del penalista. Ruoli incompatibili, secondo i legali di Romeo. E nonostante tale ipotesi di incompatibilità non sia espressamente prevista dall’articolo 34 del codice di procedura penale, la Corte costituzionale, soprattutto nei primi anni dall’entrata in vigore del codice Vassalli, si è già espressa su una questione analoga, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’articolo 34, comma II nella parte in cui non prevede, nel processo penale a carico di minorenni, l’incompatibilità alla funzione di gup del giudice che come componente del tribunale del Riesame si sia pronunciato sull’ordinanza che dispone una misura cautelare personale nei confronti dell’indagato o dell’imputato (sentenza 18/7/1998, numero 290). Una pronuncia che trova la sua ratio nel principio del “giusto processo” e che evidenzia come «la sostanziale duplicazione di attività decisionali» costituirebbe «ragione di pregiudizio “effettivo o potenziale per la funzione decisoria del giudice”». Conclusione, secondo la difesa di Romeo, non distante da quanto si sta verificando nel caso del penalista. «È davvero singolare che nello svolgimento dell’ordinaria attività giudiziaria non si tenga conto alcuno del fatto che la Consulta, già da tempo, abbia statuito che i sopra menzionati provvedimenti implicando giocoforza una valutazione nel merito dell'ipotesi accusatoria, finiscono per minare in radice l'imparzialità del Gip, che nelle sue successive valutazioni si troverebbe ad essere condizionato “dalla cosiddetta forza della prevenzione, e cioè da quella naturale tendenza a mantenere un giudizio già espresso o un atteggiamento già assunto in altri momenti decisionali dello stesso procedimento”», afferma Oreste Romeo. Da qui la decisione di sollevare la questione di legittimità, un atto non indolore, in quanto determinando la sospensione del procedimento in materia di libertà personale si tradurrebbe in un ulteriore allungamento dei tempi prima di poter eventualmente tornare in libertà. Ma Carlo Maria Romeo «è intenzionato a sacrificare il proprio interesse processuale per combattere comunque una battaglia di civiltà giuridica che riguarda tutti i cittadini - continua il fratello -. Oggi, in Italia, l'unica certezza che la "Giustizia" sembra poter assicurare è solo quella della custodia cautelare in carcere, applicata con facilità e leggerezza tali da minare le fondamenta della democrazia».