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Molti ricorderanno “Tutto Dante”, lo spettacolo teatrale dove Roberto Benigni recitava la Divina Commedia. Una interpretazione superba, quella dell’attore toscano, fatta di scansioni ritmiche e di pause accuratamente studiate che, oltre a valorizzare l’opera del Sommo poeta, attiravano l’attenzione del pubblico.
Gli spettatori, affascinati dall’ascolto, rimanevano assorti ed in rispettoso silenzio per tutta la durata della rappresentazione. Persone che fino a quel momento non avevano apprezzato appieno i canti del Paradiso erano letteralmente soggiogate dalla voce di Benigni che riusciva a rendere irresistibile l’italiano volgare di Dante.
Questo perché è differente leggere un testo dal “recitarlo”. Ed a proposito di recita, è quanto pare stia accadendo negli ultimi tempi nelle aule di giustizia circa la lettura delle intercettazioni telefoniche, dove il maresciallo che ha svolto l’attività investigativa sembra essersi completamente immedesimato nel ruolo di Benigni.
In uno dei processi attual- mente più importati in corso a Milano, quello relativo all’inchiesta della Dda sulle infiltrazioni mafiose negli appalti per la sicurezza del Palazzo di giustizia, l’altro giorno si è assistito ad uno di questi momenti rappresentativi. L’indagine, condotta da Ilda Boccassini, riguardava in particolare una associazione per delinquere che avrebbe avuto legami con la cosca mafiosa catanese dei Laudani e alcuni imprenditori tra cui i titolari del gruppo Securpolice che si occupavano appunto, fino al momento dell’arresto, anche della vigilanza del Tribunale di Milano.
Lo scorso martedì era il giorno in cui dovevano essere sentiti gli agenti della polizia giudiziaria che avevano condotto le indagini. Era il turno dell’ispettore che aveva svolto alcune delle numerose intercettazioni ambientali. L’ispettore, chiamato al banco dei testimoni, si è cimentato nella lettura dei testi cercando di rendere il più possibile l’accento siciliano dei soggetti intercettati, non omettendo di ripetere ogni cinque parole il noto intercalare siculo “minchia”, usato dagli imputati e di sicura importanza ai fini della futura decisione del collegio. Una rappresentazione “suggestiva” che ha tenuto alta l’attenzione di tutti i presenti in aula che per un momento avranno pensato di essere anche loro nel covo del clan catanese.
L’avvocato Alessandro Diddi, difensore di uno degli imputati Alessandro Fazio, e già legale di Salvatore Buzzi in “Mafia Capitale”, si è lasciato sfuggire fuori dall’aula che la medesima pratica, la recita delle intercettazioni, si è vista anche in quel processo. La pg sul punto è arrivata comunque dopo. Fra i precursori della “recita” si annovera Michele Santoro nel programma televisivo Anno Zero, dove si leggevano le intercettazioni fra Silvio Berlusconi e Gianpaolo Tarantini scegliendo attori che avessero una cadenza simile ai due. Ma qui era chiaro che si trattava di finzione televisiva e non di un processo penale.