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Da queste pagine abbiamo spesso denunciato come i Cpr si trasformino spesso in veri e propri lager. Una situazione molto critica è quella del Cpr di Macomer in provincia di Nuoro, come ci racconta l'avvocata Rosaria Manconi, presidente della Camera Penale di Oristano.
Lei assiste alcuni “detenuti amministrativi” del Cpr di Macomer: quali sono le criticità che interessano la funzione difensiva?
Nonostante i regolamenti e le ulteriori disposizioni a tutela dei diritti dei trattenuti, di fatto, le violazioni delle garanzie difensive sono presenti. Nomine di fiducia possibili solo grazie all'intervento della rete di attivisti che mettono in contatto l'avvocato e lo straniero, comunicazione della nomina solo pochi minuti prima delle udienze di convalida, che si risolvono il più delle volte in una mera formalità e talvolta con una semplice videochiamata al legale che nulla sa del procedimento. Avviso al difensore con tempi ristrettissimi, senza dare modo di prendere visione degli atti e del fascicolo del trattenuto, tantomeno di incontrarlo. Talvolta il colloquio difensivo è reso impossibile per la mancata conoscenza da parte dello straniero della lingua e per la indisponibilità del mediatore/ traduttore. Gli atti ed i provvedimenti successivi alla udienza non vengono notificati né agli interessati né ai loro difensori.
Quali sono le condizioni di vita nel centro?
L'opacità caratterizza i Centri per il rimpatrio. È difficile avere informazioni su quanto accade dentro. I reclusi hanno difficoltà a comunicare con l'esterno e per le associazioni, giornalisti e attivisti è impossibile accedere a queste strutture per monitorarne le condizioni. La notizia di un giovane marocchino che nel Cpr di Macomer si era cucito la bocca e di un suo compagno di “cella” che si era ferito, per esempio, è trapelata solo a seguito del ricovero ospedaliero. In nome della sicurezza viene negato lo svolgimento di qualsiasi tipo di attività. Non esistono aree destinate alla socialità, né biblioteche, né impegno lavorativo. Solo ozio e convivenza forzata, promiscuità, ghettizzazione. Le condizioni di vita nel Cpr sono insostenibili. Noti sono i casi di tentato suicidio, autolesionismo, tentativi di rivolta. Da informazioni trapelate dalla struttura medica del Cpr di Macomer alcuni reclusi richiedono farmaci per sopportare le condizioni di vita alienanti e prive di speranza. I trattenuti hanno difficoltà a comunicare telefonicamente con i propri cari. E a ricevere da loro un contributo economico. Per es. una scheda telefonica costa 5 euro e loro ricevono 2,50 euro al giorno. Non hanno quindi possibilità di acquistare alimenti o altri beni di necessità.
In generale, cos'è che non funziona dal punto di vista burocratico nella gestione di queste persone?
I centri si sono rivelati un fallimento rispetto alle intenzioni dei governi che volevano destinarli per il periodo strettamente necessario per organizzare gli allontanamenti e nel contempo per controllare gli ingressi. Di fatto la chiusura dei confini, il blocco dei voli, la mancata collaborazione di Paesi di origine rendono spesso impossibile il rimpatrio. E così i migranti vengono liberati per essere rimessi nel circuito della irregolarità, al quale poi vengono sottratti con un ulteriore provvedimento di espulsione e trattenimento. E così, spesso, all’infinito.
Può farci qualche esempiodi casi mal gestiti.
Un giovane marocchino, in Italia da oltre quindici anni, in possesso di regolare permesso lavorativo e documenti di identità, perfettamente integrato, operaio specializzato con contratto a tempo indeterminato presso una ditta della Penisola, subisce una condanna a seguito di una denuncia di maltrattamenti da parte della compagna. Esce dal carcere anticipatamente per buona condotta e una volta messo piede fuori dalla struttura viene fermato, privato dei documenti e del permesso di soggiorno e trasferito a Macomer. Ha proposto ricorso ma nel frattempo è stato espulso con ordine di lasciare l’Italia entro sette giorni. Ma il caso più eclatante è quello di un giovane palestinese, al quale è stata riconosciuta la protezione internazionale, poi revocata senza che gliene venisse data notizia e motivazione. Ha chiesto a più riprese di tornare nel proprio Paese, a Gaza, perché lì risiede la sua famiglia e perché piuttosto che stare rinchiuso in questa struttura preferisce rischiare la vita nel suo Paese. Ad oggi è ancora trattenuto nel Cpr di Macomer.
I detenuti di solito sono considerati cittadini di serie B, gli “ospiti” del Cpr forse di serie D.
La verità è che queste strutture sono destinate, in nome di una presunta esigenza di sicurezza, alla esclusione della “underclass”- gli ultimi degli ultimi nella scala sociale - dalla comunità. A questi non viene assicurato il rispetto della dignità della persona e dei diritti fondamentali. Non c’è interesse politico, né attenzione dei media e della società civile verso questi soggetti. E ciò rende ancora più urgente una nuova disciplina normativa che regoli adeguatamente la materia e la nomina di un organismo indipendente di controllo e vigilanza.